​Sviluppo, opportunità e prosperità

Bai Yang e Liu Pai 2019-12-25 14:22:27
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Dal 1978 al 2017i paesi e le regioni chehanno scambi commercialicon la Cina sono passatida 40 a 231.

Il 18 dicembre di 40 anni fa, durante la terza sessione plenaria dell’XI Comitato Centrale del PCC, la Repubblica Popolare prese una decisione storica: il Partito e lo Stato avrebbero perseguito da lì in avanti una linea politica di riforma e apertura, dirigendo la propria attenzione sulla “costruzione economica” del Paese. Fu così che la Cina aprì le sue porte al resto del mondo. Stando ai dati ufficiali, il Pil della Cina ha compiuto un balzo considerevole, passando dai 367,9 miliardi di yuan del 1978 agli 8.271 miliardi di yuan (pari a 1.220 miliardi di dollari) del 2017, che le hanno permesso di diventare la seconda economia del mondo. Prendendo a prestito le parole usate dal ricercatore del Centro di Ricerca per l’Asia de La Heritage Foundation, Scissors Derek, per confrontare la situazione economica della Cina prima e dopo l’adozione delle politiche di riforma e apertura, la politica lanciata da Deng Xiaoping nel 1979 «ha permesso al grande drago cinese di innalzarsi in volo».

In questi ultimi 40 anni, in cui la Cina è passata dalla creazione di zone economiche speciali come Shenzhen all’apertura delle proprie città costiere e dell’entroterra, dall’ingresso nella WTO all’istituzione di aree e porti di libero scambio, dal lancio della “Belt & Road Initiative” alla prima edizione della China International Import Expo, il “drago cinese” ha realizzato un vero e proprio miracolo economico.

Questi risultati sarebbero stati impossibili senza l'interconnessione e l'influenza reciproca tra la Cina e il mercato mondiale. In questi quattro decenni, la Cina ha infatti continuato ad adottare la politica fondamentale di apertura verso l’estero, integrandosi attivamente nei meccanismi della globalizzazione economica e impegnandosi nella promozione del commercio bilaterale, multilaterale e degli investimenti. In questo periodo «il volume totale di importazioni ed esportazioni della Cina è passato da 20,6 miliardi a oltre quattromila miliardi di dollari. L'uso complessivo degli investimenti diretti esteri ha superato i duemila miliardi di dollari, mentre gli investimenti diretti all’estero hanno raggiunto un totale di 1.900 miliardi di dollari». Come ha fatto notare il presidente Xi Jinping nel suo discorso pronunciato durante la conferenza celebrativa per il 40esimo anniversario del lancio della politica di riforma e apertura, «la proporzione del Pil cinese rispetto al Pil totale mondiale è cresciuta dall’1,8% al 15,2%, con il tasso di contribuzione della Cina alla crescita economica mondiale che ha superato in questi anni il 30%».

Dal 1978 al 2017 i partner commerciali della Cina sono passati da 40 a 231 paesi e regioni. Tra questi, l’Ue è stata per 14 anni consecutivi, a partire dal 2004, il maggiore partner commerciale della Cina, a dimostrazione del fatto che i quarant’anni di riforme e apertura coincidono per gran parte con quelli di rapido sviluppo delle relazioni tra la Cina e l’Ue.

Nel dicembre del 1978 l’azienda europea Siemens ha tenuto a Shanghai la prima edizione della Fiera dell’elettronica e della tecnologia elettrica, diventando una delle prime aziende straniere a promuovere attivamente la riforma e l'apertura della Cina. Nello stesso anno, la Cina e l’Europa hanno firmato il primo accordo commerciale intergovernativo, in cui è stata inserita la clausola della nazione più favorita. Nel 2000 le due parti hanno raggiunto un accordo per l’ingresso della Cina nella WTO a cui ha fatto seguito, nel 2003, la conferma del partenariato strategico globale. Nel 2014 il presidente cinese Xi Jinping ha effettuato una storica visita in Europa, durante la quale le due parti hanno raggiunto un importante consenso sulla creazione di una partnership basata su quattro pilastri fondamentali - pace, crescita, riforme e cultura. La sempre più stretta connessione tra Cina ed Unione europea non si limita allo scambio di merci, ma si riscontra anche nel crescente numero di viaggi di lavoro e per turismo (incoming e outgoing) effettuati ogni anno. Attualmente, il numero complessivo di viaggiatori che annualmente si reca dalla Cina in Europa e viceversa ha superato i 7 milioni, con oltre 600 voli settimanali. Sul fronte dello scambio di merci, ai tradizionali trasporti aerei e via mare, si aggiungono gli oltre 11 mila convogli ferroviari della China-Europe Express Railway.

Ogni giorno tra l’Ue e la Repubblica Popolare vengono scambiati beni per 1,5 miliardi di euro. Nel 2017 il volume totale degli scambi commerciali bilaterali ha raggiunto i 644,46 miliardi di dollari, con la Germania – seguita da Olanda, Regno Unito, Francia e Italia – che ha fatto da locomotiva, assicurando quasi un terzo degli scambi commerciali complessivi.

E proprio il commercio con l’Ue ha favorito la riconversione del modello di sviluppo economico cinese, accelerando il passaggio da un modello labour intensive e ad alto consumo energetico a uno retto da un’economia “green” a basse emissioni di carbonio. «La Cina ha varato delle norme che nel corso degli ultimi anni stanno spingendo verso un’economia sostenibile che può, a sua volta, rappresentare un’opportunità per le imprese straniere che operano in tale ambito», spiega il giurista italiano Stefano Porcelli. Per Wang Yiwei, direttore del Centro studi sull’Unione europea della Renmin University, «la strategia adottata dall’Ue per lo sviluppo sostenibile coincide con i piani industriali della Cina. Dalle auto elettriche alle tecnologie a bassa emissione di carbonio, l’Unione europea e le proprie imprese possono ricevere enormi vantaggi dal mercato cinese».

Tra i paesi dell’Ue, l’Italia è il quinto partner commerciale della Cina, il suo quarto mercato per le esportazioni e il quarto paese membro da cui importa merci; mentre la Cina è il maggiore partner commerciale dell’Italia in Asia. Nel 2017 il volume totale degli scambi commerciali tra l’Italia e la Cina ha raggiunto quota 4,96 miliardi di dollari. Una cifra ancora troppo piccola secondo Davide Cucino, presidente della Camera di Commercio italiana in Cina, presidente di Fincantieri in Cina ed ex presidente della Camera di commercio dell’Ue in Cina. «Cina e Italia – ha spiegato Cucino - sono due paesi con similitudini culturali, però per lungo tempo non hanno sfruttato questo vantaggio. Solo da qualche anno si sta assistendo a un profondo cambiamento che ha consentito di migliorare sia lo scambio commerciale che di individuare settori di reciproco interesse».

Se paragonate alle imprese tedesche, francesi e inglesi, le aziende italiane hanno fatto lenti progressi nel mercato cinese in questi anni. La prof.ssa Luo Hongbo, presidentessa dell'Associazione cinese di Studi Italiani, ritiene che le riforme e l’apertura della Cina abbiano promosso la globalizzazione economica, e che quest’ultima abbia accelerato, a sua volta, la globalizzazione delle attività produttive, degli scambi e delle informazioni. Dovendo far fronte a questo nuovo contesto, molte imprese europee sono entrate subito e hanno conquistato una fetta dei mercati emergenti, elaborando nuove strategie di sviluppo. «L’internazionalizzazione delle aziende italiane – ha notato la prof.ssa Luo Hongbo - è in ritardo rispetto ai tre Paesi europei sopra menzionati, a causa del fatto che non hanno saputo adattarsi al nuovo contesto, per via delle eccessive preoccupazioni, della loro lentezza nell’agire e delle insufficienti ricerche sui mercati emergenti”. Le principali cause di tutto ciò vanno ricercate, secondo la prof.ssa Luo Hongbo, nelle piccole dimensioni delle aziende italiane - il 95,4% delle imprese italiane è rappresentato da micro-imprese con meno di dieci dipendenti - e nel loro basso grado di internazionalizzazione. Per avere successo nel mercato cinese, «le PMI italiane – ha proseguito la prof.ssa Luo – dovrebbero non soltanto continuare a percorrere la strada dell’alta qualità e dell’innovazione, ma anche seguire maggiormente la politica e le tendenze di consumo della Cina».

Ciononostante, va riconosciuto che negli ultimi tempi l’Italia ha mostrato un forte desiderio di entrare nel mercato cinese. Nel novembre del 2018, delle oltre 800 imprese europee che hanno partecipato alla prima edizione della China International Import Expo (CIIE) di Shanghai, circa 170 erano italiane; a questa cospicua partecipazione si aggiunge, poi, il fatto che il padiglione italiano era il secondo più grande fra quelli dei paesi europei presenti.

La CIIE è un importante evento con cui la Cina si rivolge al mondo mostrando un atteggiamento più aperto. “Non si tratta, infatti, di una fiera sull’import-export, ma di un’expo dedicata alle importazioni”, come ha specificato Nicola Casarini, capo del Programma Asia dell’Istituto Affari Internazionali, intervistato da CINITALIA durante l’expo. “Questa fiera – ha spiegato Casarini - cerca di far aprire il mercato cinese alle imprese occidentali. Sono molte le imprese di piccole e medie dimensioni che non conoscono bene il mercato cinese, ma – ha proseguito - grazie a questa expo hanno la possibilità di incontrare direttamente potenziali importatori dei loro beni”.

Durante la CIIE si è tenuto anche il Business Forum Italia-Cina, a cui ha partecipato il ministro dello Sviluppo Economico italiano Luigi Di Maio. “È sicuramente un discorso di apertura ai mercati, all’import”, ha affermato il ministro Di Maio nel corso del suo intervento, parlando degli obiettivi che la Cina si è data nell’organizzare la CIIE. “Si tratta – ha proseguito il ministro dello Sviluppo - di un contesto economico mondiale nel quale vogliamo essere protagonisti. L’importanza della Cina per l’Italia corrisponde all’importanza che l’Italia riconosce alla sua vocazione all’export. Vogliamo portare il Made in Italy in tutto il mondo”.

Nel suo discorso programmatico, il presidente cinese Xi Jinping ha confermato le cinque nuove misure volte a promuovere ulteriormente l’apertura della Cina, vale a dire: valorizzare il potenziale delle importazioni, continuare ad allentare i limiti d’accesso al mercato cinese, creare un ambiente imprenditoriale in grado di attirare imprese di prim’ordine a livello internazionale, portare l’apertura verso l’estero a un livello senza precedenti e promuovere una maggiore cooperazione a livello multilaterale e bilaterale.

A gennaio di quest’anno, nel corso della riunione sui lavori economici delle autorità centrali cinesi, il vice direttore della Commissione statale per lo sviluppo e le riforme, Ning Ji, ha sottolineato ancora una volta l’importanza di promuovere, per tutto il 2019, una totale apertura verso l’estero. “La Commissione promuoverà la messa in atto del secondo gruppo di grandi progetti a capitali esteri, fra cui figurano i veicoli alimentati con nuove fonti di energia e rispettive batterie”. L'ammontare degli investimenti per ciascun progetto potrà arrivare fino a diverse centinaia di miliardi di dollari.

L’approfondimento dell’apertura della Cina creerà senza dubbio nuove possibilità per le relazioni sino-europee e per quelle sino-italiane. “Noi riteniamo che questo processo di apertura, che in quarant’anni è culminato con questi risultati, continuerà a beneficiare tutti e andrà a beneficio anche delle nostre relazioni bilaterali”, ha dichiarato l’ambasciatore italiano in Cina Ettore Sequi. “Si calcola – ha aggiunto l’ambasciatore - che nei prossimi cinque anni ci sarà un aumento delle importazioni cinesi di circa 8.000 miliardi di dollari, che è una cifra enorme. Naturalmente, l’Italia è a favore del libero scambio e a favore della globalizzazione. Noi guardiamo con grandissimo interesse e sosteniamo le politiche di riforma e apertura della Cina”.

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