【Call for papers】Pisa, la mia seconda casa

2020-12-31 15:06:59
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di Zhu Wanlin

Da settembre 2019 a giugno 2020 ho avuto l’onore di servire come insegnante volontaria di lingua cinese presso l’Istituto Confucio di Pisa. Nel corso dell’anno i costumi e gli aspetti della vita dell’Italia sono diventati per me ricordi preziosi e indimenticabili.

Un luogo dall’aspetto scialbo

Rispetto agli incontri più belli e delicati, quello con la città di Pisa è stato diverso. Appena piombata a terra dal piccolo aereo traballante che da Roma mi aveva portato lì, il primo sguardo che avevo rivolto a questa piccola città mi aveva riempito il cuore di una sensazione da “Cenerentola” o da “brutto anatroccolo”.

L’odore dei disinfettanti delle lavanderie si mischiava senza ritegno a quello dell’asfalto cotto dal sole; c’erano poi i souvenir stereotipati della Torre Pendente sparsi ovunque, le risatine indolenti degli addetti a servizi aperti solo per poco tempo, il suono elegante e chiaro dell’opera lirica frantumato nei mille pezzi di un quotidiano, indecifrabile chiacchiericcio delle persone impegnate a contrattare prezzi: in quel momento, in nessun luogo, riscontravo le tracce di quell’Italia elegante e composta ritratta su immagini e libri. Inoltre, io e gli altri 3 insegnanti volontari freschi di nomina continuavano ad andare e venire dall’ufficio postale per le pratiche del permesso di soggiorno senza però compiere alcun progresso. Pisa non aveva l’aspetto di altre famose città italiane come Roma, Milano o Napoli e ci sembrava che avremmo dovuto impegnarci parecchio per riuscire a provare almeno un po’ quella particolare sensazione di essere straniero.

Davvero, in quel momento non avrei mai potuto immaginare che questa città, dall’aspetto serio e dal fascino unico, sarebbe riuscita dopo un anno a catturare il mio amore; un sentimento cresciuto esponenzialmente di giorno in giorno, e che a tutt’oggi, come allora, continua a stregarmi. Quello è stato il momento in cui è iniziata ufficialmente la mia carriera di insegnante volontaria all’estero.

Un amore sempre crescente

Dopo l’arrivo graduale dei miei colleghi, abbiamo avuto un incontro con la bella, grande famiglia cinese e italiana che lavorava lì. Ci siamo brevemente presentati, integrati, e abbiamo parlato della storia dell’Istituto Confucio, delle esperienze condivise dai precedenti insegnanti, dei consigli per i nuovi volontari, delle usanze e della situazione locale di Pisa, e anche della stagione degli sconti. Come in una famiglia, questo calore e l’assenza di distanza tra noi ha confortato il mio dispiacere dovuto al fatto che il “mio innamorato” – questo luogo – non fosse abbastanza bello.

Poi, pian piano, ho conosciuto la bandiera rappresentativa di Pisa, ho scoperto una caffetteria con mille anni di storia all’angolo di una strada, ho fatto il giro delle principali chiese pisane, mi sono imbattuta in una biblioteca locale piena di documenti sulla Grecia antica, ho assaggiato un gelato ricco e denso, e ho scattato con il mio cellulare innumerevoli foto della Torre Pendente alle prime luci dell’alba, con il sole alto nel cielo e nei raggi del tramonto. Questa città, che dominava i traffici marittimi del medioevo, alla fine iniziava gradualmente a mostrare ciò di cui era capace.

In seguito ho anch’io iniziato a fare lezione. Ho insegnato nelle classi di due licei, ognuno appartenente ad una sede diversa dell’Istituto Confucio: uno si trovava a Cassina – un piccolo paese alla periferia di Pisa – l'altro a Firenze. Cassina è una piccola cittadina silenziosa e semplice, con una via principale lunga solo circa un centinaio di metri. Con il mio italiano limitato ho fatto la conoscenza delle persone principali che lavoravano in quel liceo nel periodo in cui insegnavo, e da loro sono venuta a conoscenza delle vicissitudini della città. I ragazzi delle 2 classi in cui ho insegnato erano tutti attivi e semplici. Ricordo che una volta, mentre spiegavo la lettera “Y” della trascrizione fonetica pinyin, un ragazzo aveva detto al suo compagno: “Yī,say,what are you wearing,Yī…”, “Yā,duck,qua, qua, qua…”. In quei momenti non potevo fare a meno di ridere: loro mostravano direttamente e intensamente la loro gioia quando imparavano qualcosa di nuovo, e questo era per me fonte di grande stimolo e incoraggiamento.

Gli studenti dell’altra classe stavano invece per diplomarsi; sembravano delle vecchie volpi con un aspetto di ragazzi più grandi ma anche con qualcosa di infantile non ancora perduto. Tradivano sempre un’espressione timida e furba quando, distratti, li invitavo per nome a rispondere ad una domanda. In quel momento non sapevo se ridere o piangere.

C’è una cosa che ricordo e che ha lasciato in me un’impressione profonda: era un pomeriggio di pioggia molto forte e dopo lezione ero uscita da scuola. La pioggia era cessata e il cielo era già sereno; avevo diretto lo sguardo verso le basse colline di fronte alla stazione ferroviaria mentre i raggi del sole trafiggevano gli strati di nuvole e risplendevano sulle cime dei rilievi, creando un contrasto piacevolmente asimmetrico di luce e ombra. Mi ero messa ad osservare quelle piccole colline che avevano un aspetto davvero elegante e grazioso, rendendomi conto che il posto era divenuto familiare, che mi ero adattata, anzi che mi ero innamorata di quel luogo.

Riconciliazione

Tutti noi pensavamo che i giorni sarebbero andati avanti in modo ordinato e tranquillo, in accordo al calendario e al programma delle scuole. Gli studenti e gli amici di Firenze mi avevano invitato un fine settimana a visitare Palazzo Pitti e a mangiare in un ristorante cinese locale. Per inerzia decidemmo di realizzare questo piano dopo le celebrazioni per la Festa della Primavera.

Dopo l’arrivo della primavera avremmo potuto vedere insieme il calare del sole a Piazzale Michelangelo, andare su Ponte Vecchio dove avremmo usato le nostre conoscenze di pittura cinese per creare un dipinto ad inchiostro o gustare del tè. Non avremmo mai potuto pensare che la lezione di fine febbraio sarebbe stata l’ultima occasione per vederci. Certo, ci sono state le lezioni via Internet ma non ci davano più quel senso d’intimità che sentivamo in quell’aula, riconvertita da un’antica chiesa locale. Probabilmente siamo tutti dei superstiti della vecchia epoca tecnico-scientifica, che ricordano con nostalgia tutti quei luoghi affollati dove in passato le persone sgomitavano tra loro.

Durante l’isolamento dovuto all’epidemia di Covid e la quarantena trascorsa a casa ho ricevuto un messaggio dall’impiegato di un ristorante dove mi recavo spesso. Nel messaggio mi aveva chiesto se stavo bene e mi aveva parlato delle conseguenze negative per l’economia portate dal virus, insieme ai disagi per l’occupazione: forse tutti nel mondo hanno percepito allo stesso modo questa crisi. Il tempo di un anno è stato breve, oltretutto con l’epidemia che ha premuto sul “tasto pausa”, cancellando completamente la primavera. In tali condizioni provare rammarico è stato naturale.

Un’altra cosa che vale la pena di menzionare e che prima di tornare nel mio Paese avevo pensato ad un regalo per un amico in Cina, e per prepararlo mi era stato indispensabile l’aiuto di altri amici italiani: avevo l’intenzione di tradurre diversi libri illustrati per regalarli al mio amico. Nonostante la lingua dei libri illustrati fosse semplice si è trattato di una sfida impegnativa per me e per il mio italiano di livello assolutamente elementare. Anzitutto, fui introdotta ai libri italiani dal proprietario di una libreria che mi diede dei suggerimenti sul tema dell’amicizia da me proposto. In seguito ho tradotto i testi in inglese e ho invitato gli studenti e gli amici italiani a correggerli; infine li ho tradotti in cinese. Al termine della traduzione ero così contenta del risultato del lavoro che non ho voluto separarmene e ho anche promesso ai miei studenti italiani che al mio ritorno avrei portato dei libri illustrati dalla Cina.

Pisa ritorna nei sogni

Dopo aver lasciato l’Italia, Pisa è spesso tornata nei miei sogni. Una volta ho sognato il giorno in cui avevo lasciato la città: mi ero svegliata al mattino presto e avevo guardato fuori dalla piccola finestra dell’appartamento dive vivevo… invece delle lunghe file di edifici residenziali avevo visto il mare e gli scogli. Poi ho aperto la porta e ho scoperto che la mia casa ne aveva un’altra sul retro di cui non ero a conoscenza nonostante fossi vissuta lì per un anno. Aprì la porta e mi trovai a pian terreno, dove c’era una distesa verde di erba, fresca e ombrosa, e poi un prato umido vicino alla costa. Sul portico c’erano degli ombrelli fatti di arazzi, frutta ammuffita e del burro di arachidi avanzato. A qualche decina di metri sul lato opposto c’era un anziano su una sedia a dondolo che portava una mascherina e faceva ondeggiare un ventaglio di foglie di palma; notai che la porta sul retro della sua casa era rivolta verso la mia. Probabilmente stava pensando: “stupida vicina, ha impiegato un anno a scoprire questo giardino!”. Poi ho lasciato il portico, mi sono diretta verso il cortile e ho notato il frigorifero di Serena, l’amministratrice della nostra abitazione; l’ho aperto, ho visto che c’era tanto formaggio e ho pensato: “comprerò del formaggio da portare in Cina”. In seguito, sulla via del supermercato, mi sono ricordata di aver lasciato la porta aperta, ma mi sono ritrovata in una fitta foresta pluviale e non sono più riuscita a trovare la strada di casa.

Dopo essermi svegliata, mi sono resa conto che la mia casa è dove il mio cuore si sente tranquillo. L’Italia, la città di Pisa, sono certamente un luogo dove il mio cuore può riposare. Spero sarò capace di innalzare il livello delle mie competenze linguistiche, di rafforzare le mie conoscenze di lingua cinese e di consolidare le mie capacità di insegnamento. Spero che in futuro l’aspetto, il portamento, il carattere dell’Italia e della piccola città di Pisa continueranno sempre ad essere parte integrante della mia vita.

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