【In altre parole】La lotta alla povertà in Cina

2020-08-21 15:19:11
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L’arrivo inatteso della pandemia di Covid-19 e le difficili sfide che questa ha comportato non sembrano aver cambiato nella scala delle priorità di Pechino la posizione occupata dalla lotta alla povertà, una delle “tre grandi battaglie” in cui il governo cinese si è impegnato negli ultimi anni (le altre due sono contro l’inquinamento e i rischi finanziari).

Nel marzo scorso, il presidente cinese Xi Jinping ha tenuto a sottolineare che, nonostante le difficoltà sopraggiunte con l’insorgere della pandemia, gli obiettivi fissati per quest’anno in materia di lotta alla povertà (eradicazione della povertà assoluta ed edificazione sotto tutti i profili di una società moderatamente prospera) non sarebbero cambiati. Per inquadrare meglio il contesto ha fornito anche qualche dato: 5,51 milioni i poveri rurali nel 2019, con l’incidenza della povertà passata allo 0,6%; sostanzialmente sradicata, invece, la povertà generale regionale.

Dietro a questi numeri si nasconde un altro risultato davvero straordinario: prendendo come riferimento la soglia di povertà estrema di 1,90 dollari pro capite al giorno stabilita dalla Banca Mondiale, nei decenni successivi all'avvio delle riforme da parte di Deng Xiaoping nel 1978, la Cina ha traghettato fuori dalla povertà oltre 850 milioni di persone, contribuendo per oltre il 70% alla riduzione della povertà globale. Sebbene i progressi non siano sempre stati omogenei, sia sul piano temporale che su quello geografico, l'incidenza della povertà estrema è diminuita drasticamente, basti pensare che nel 1981 arrivava all’88% (dati della Banca Mondiale).

Non stupisce che la Cina sia stato il primo Paese in via di sviluppo a raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite (OSM), contribuendo in modo significativo anche al conseguimento degli OSM a livello globale; il primo OSM, ad esempio, consisteva nel dimezzamento della percentuale di persone nel mondo con reddito inferiore a 1,25 dollari al giorno, ed è stato raggiunto con 5 anni di anticipo proprio grazie al contributo della Cina. Tuttavia, come riportato dalla Banca Mondiale, va anche sottolineato che il reddito pro capite della Repubblica Popolare corrisponde ancora a circa un quarto di quello dei Paesi ad alto reddito e circa 373 milioni di cinesi vivevano nel 2015 al di sotto della soglia di povertà delle nazioni a reddito medio-alto di 5,50 dollari al giorno. Inoltre, la disuguaglianza economica resta elevata.

Ma è importante comprendere che il target fissato da Pechino per il 2020 riguarda essenzialmente la povertà assoluta rurale, non implica di per sé la fine della lotta alla povertà, che negli anni a venire entrerà probabilmente in una nuova fase e si concentrerà su questioni come il divario tra le aree urbane e rurali e le disparità regionali.

Il percorso intrapreso da Pechino per conseguire questi risultati e accompagnare quasi un miliardo di persone fuori dalla povertà non è legato solo alla portentosa crescita economica sperimentata dal Paese. Sono state implementate anche numerose politiche volte a favorire questo processo.

Una componente importante della strategia individuata dal governo cinese per ridurre la povertà consiste nello sviluppo industriale. Come fa notare il professor Yuan Peng dell’Accademia cinese delle Scienze Sociali, un ruolo significativo in tal senso viene giocato dalle cooperative, la cui importanza è cresciuta nel tempo. Nel suo “Global Growth of Cooperatives in the Context of Social and Solidarity Economy – Practice and Story from China”, Yuan Peng ricorda che il Programma per l'alleviamento della povertà nella Cina rurale (2011-2020), pubblicato dal Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese e dal Consiglio di Stato nel 2011, invitava le imprese, le cooperative di agricoltori e le organizzazioni di mutuo soccorso ad aiutare gli agricoltori poveri “incoraggiando ed espandendo industrie distintive, ottimizzando le industrie cerealicole tradizionali locali e promuovendo il turismo sfruttando i vantaggi dell'ambiente ecologico e delle risorse naturali nelle aree povere”.

Tutte caratteristiche, quelle relative alla valorizzazione dei tratti locali dei vari territori, riscontrabili anche in uno dei concetti cardine della battaglia ingaggiata da Pechino contro la miseria: quello di “lotta mirata alla povertà”, espressione citata per la prima volta dal presidente cinese Xi Jinping nel novembre 2013, durante un’ispezione nella provincia dello Hunan. “Cercare la verità nei fatti, adattare le misure alle condizioni locali, dare istruzioni a seconda dei casi, assistere i poveri in modo mirato”, diceva all’epoca il capo di Stato cinese. L’idea era proprio quella di implementare misure mirate che tenessero conto delle specificità di ciascuna realtà territoriale.

Tra le politiche perseguite dalla leadership cinese per favorire il processo di fuoriuscita dalla povertà delle fasce di popolazione ancora in stato di indigenza, ve n’è anche una nota con il nome di “Alleviamento della povertà attraverso i consumi”: si tratta di una serie di misure tese a incrementare i consumi di beni e servizi forniti da quegli individui che vivono nelle aree povere con l’obiettivo dichiarato di aumentarne i redditi. Secondo le ultime statistiche fornite dal Consiglio di Stato cinese, le vendite di questi prodotti hanno superato nell’anno in corso i 100 miliardi di yuan, dando un contributo importante ai fini del conseguimento dei target prefissati. I dati ufficiali ci dicono che, ad oggi, le contee ancora impegnate a far fronte alla loro condizione di arretratezza sono 52, e – stando alle linee guida diramate dal Consiglio di Stato cinese – è proprio ai loro prodotti che deve essere data priorità in fase di vendita.

Le ripercussioni generate dalla pandemia di Covid-19 rendono sicuramente più impervio e impegnativo il cammino della Cina verso il conseguimento dei suoi obiettivi in materia di lotta alla povertà. Per stilare un bilancio finale, naturalmente non si potrà non tenere anche conto delle ricadute prodotte dalla pandemia sulle fasce più colpite della popolazione, della loro reale portata e del tempo che occorrerà per riassorbirle. Ma Pechino non ha mai paventato finora la possibilità di mancare i suoi target. Inoltre, va anche detto che, stando alle stime del Fondo Monetario Internazionale, la Cina sembra essere una delle poche economie destinate a crescere quest’anno. Secondo le proiezioni del FMI, la Repubblica Popolare crescerà dell’1,2%. Mentre l'economia globale dovrebbe contrarsi del 3%, con gli Stati Uniti giù del 5,9% e l’area euro nel suo complesso del 7,5%.


(Andrea De Pascale)

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