La vita non è un numero e non distingue tra giovani e vecchi
Domenica 24 maggio, il New York Times ha pubblicato il reportage speciale “U.S. Deaths near 100,000, an incalculable loss” (Quasi 100,000 morti negli Usa, una perdita incalcolabile), elencando sulla prima pagina e nelle prime quattro pagine successive i nomi, l’età e le identità di 1,000 persone decedute a causa del Covid-19. L’esperto americano in prevenzione epidemica Anthony Fauci ha affermato che molte persone infette sono morte a casa prima di essere andate in ospedale per ricevere le cure, e che queste persone non sono ovviamente state conteggiate tra i casi di decesso per il Covid-19. Sembra che nel mezzo del caos negli Stati Uniti la vita di molte persone non sia nemmeno stata inclusa nelle statistiche.
In una società moderna c’è consenso sull’“uguaglianza nella vita”. In questa crisi di nuovo coronavirus degli Stati Uniti, la realtà è invece ben lontana da ciò. Risalendo a una conferenza stampa di marzo tenuta alla Casa Bianca, alla domanda di un giornalista se i potenti avessero la priorità nel test, Trump rispose francamente che “Forse questa è la vita”, una semplice affermazione che ha messo in piena vista la disuguaglianza e la disparità nel diritto alla vita presenti nella società statunitense. Non c’è da stupirsi che Jacob Hacker, politologo dell’Università di Yale, abbia esclamato “la crescente disuguaglianza ha un impatto enorme sul nostro sistema sociale e politico”.
Il 20 maggio, il settimanale Time ha pubblicato un articolo di David Litt, scrittore di discorsi per l’ex presidente americano Barack Obama, in cui si afferma che alla base della perdita delle vite e dei posti di lavoro di molte persone non c’è il fallimento del meccanismo di salute pubblica, ma il fallimento del sistema democratico americano.