Io, testimone dello sviluppo delle relazioni tra la Cina e l'Italia

Chen Baoshun 2020-11-06 10:59:01
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Cinquant’anni fa, la Repubblica Popolare Cinese e Italia istituirono e svilupparono relazioni basate sui principi di equità, mutuo vantaggio e rispetto reciproco, apportando un contributo positivo alla società umana. Aver assistito all’istituzione e allo sviluppo di tali relazioni tra due Paesi culle di antiche civiltà è stata per me una grande fortuna.

Il contesto internazionale

Alla fine della Seconda guerra mondiale, i popoli di tutti i Paesi intrapresero la difficile missione di ricostruire le proprie case, presero vita vigorosamente movimenti di liberazione nazionale, in Africa ci furono sollevamenti popolari seguiti da dichiarazioni d’indipendenza.

Il popolo cinese vinse una battaglia decisiva nella Guerra di Liberazione. Il primo ottobre 1949, il presidente Mao proclamò la fondazione della Repubblica Popolare Cinese. La nascita della Nuova Cina scioccò il mondo, ma in ogni parte del globo vari Paesi dichiararono l’uno dopo l’altro di riconoscere la Repubblica Popolare Cinese come l’unico governo legittimo del popolo cinese.

Il 2 giugno 1946 era nata la Repubblica Italiana. Già negli anni Cinquanta politici italiani visionari e forze di sinistra lanciarono appelli per l’istituzione di legami diplomatici con la Nuova Cina, ma, per vari motivi, la normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi non riusciva a materializzarsi. Dopo aver chiuso l’ambasciata a Nanjing, l’Italia non aveva più inviato personale diplomatico di alcun livello a Taiwan.

Le relazioni diplomatiche tra l'Italia e la Cina

L’Italia, Paese di tanti partiti, complessità politica e frequenti cambiamenti di governo, manteneva una posizione incerta sull’istituzione di relazioni diplomatiche con la Cina.

Nel gennaio del 1964 la Cina stabilì formalmente relazioni diplomatiche con la Francia, sorprendendo la comunità occidentale. A giugno di quell’anno, Paolo Vittorelli, senatore del Partito socialista italiano, visitò la Cina e fu ricevuto dal presidente Mao, con cui affrontò il tema della possibilità di una mutua istituzione di uffici di rappresentanza commerciale. Il 30 novembre il Consiglio cinese per la Promozione del commercio internazionale e l’Agenzia per la Promozione all’estero e l’Internazionalizzazione delle imprese italiane (ICE) firmarono un accordo sulla reciproca istituzione di uffici di rappresentanza commerciale nei due Paesi. Fu un altro passo importante dopo quello dell’istituzione dei rapporti diplomatici tra Cina e Francia, e creò le condizioni per la normalizzazione delle relazioni Italia-Cina.

L’ufficio di rappresentanza commerciale del Consiglio cinese per la Promozione del commercio internazionale fu ufficialmente istituito a Roma nel febbraio del 1965 e i rappresentanti commerciali in possesso di passaporto diplomatico godevano di esenzione tariffaria doganale. Inoltre l’organico dell’ufficio di rappresentanza era composto da cinque persone in possesso di passaporti ufficiali, per cui esso si configurava di fatto come un’istituzione semi-ufficiale. Al tempo avevo terminato i miei studi d’oltremare e venni assunto in quest’ufficio, dove iniziai la mia carriera diplomatica.

Il 24 gennaio 1969 si formò in Italia un nuovo governo di centro-sinistra, e lo stimato socialista Pietro Nenni divenne ministro degli Esteri. Nel suo rapporto sulla politica estera al Parlamento, riconobbe pubblicamente la Repubblica Popolare Cinese come l’unico governo legittimo del popolo cinese e decise immediatamente di iniziare i negoziati per l’istituzione delle relazioni diplomatiche e, a tal fine, i due governi autorizzarono i propri rispettivi ambasciatori in Francia a incominciare le trattative. Dopo contrattazioni prolungate, e contro ogni aspettativa, i rappresentanti delle due parti raggiunsero finalmente un accordo. Il 6 novembre del 1970, i governi di Cina e Italia resero simultaneamente pubblico il Comunicato congiunto sull’istituzione delle relazioni diplomatiche.

Nenni, veterano del Partito socialista italiano e vecchio amico del popolo cinese, nel settembre del 1955 era stato invitato a partecipare all’ottavo congresso del Partito comunista cinese. Dopo lo stabilimento dei rapporti diplomatici, visitò nuovamente la Cina su invito del premier Zhou Enlai. “Quando bevi dal pozzo non dimenticarti mai chi lo ha scavato”: Zhou Enlai lo ringraziò per il suo forte contributo allo sviluppo delle relazioni Italia-Cina.

Ora, dopo la Francia, c’era un altro Paese occidentale ad aver stabilito rapporti diplomatici con la Cina, e la cosa aprì una nuova significativa pagina nelle vicende internazionali. Il 2 gennaio 1971, il ministro degli Esteri italiano Aldo Moro disse ai giornalisti che «l’istituzione dei legami diplomatici tra Italia e Cina è il risultato logico della politica estera di lunga data del governo italiano».

Il 29 gennaio 1971, terzo giorno della Festa di Primavera, con l’incaricato d’affari ad interim Feng Xianbo volammo a Roma per presenziare all’apertura dell’ambasciata, e il successivo 2 febbraio Feng incontrò il capo del Cerimoniale diplomatico del Ministero degli Affari esteri italiano cui presentò la propria lettera d’incarico. Il capo del Cerimoniale disse a Feng che da quel giorno l’ambasciata cinese avrebbe potuto avviare ufficialmente i propri lavori.

Il primo ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese a Roma

Il 19 aprile dello stesso anno, in una giornata di sole estivo, giunse nella capitale il primo ambasciatore di Cina, Shen Ping. A mezzogiorno, mentre Shen, che aveva poco prima oltrepassato il cancello dell’ambasciata (in via Paisiello), si stava riposando nel soggiorno, il Dipartimento protocolli del Ministero degli Esteri italiano telefonò dicendo che il signor Molozzo, il vicedirettore generale di quell’ufficio, sarebbe venuto in ambasciata alle 18 per una visita ufficiale. Ne rimanemmo tutti sorpresi.

Quel pomeriggio Molozzo arrivò puntualmente in ambasciata. Era un italiano “tipico”, pieno d’entusiasmo ed estremamente amichevole. Estese prima di tutto sentite congratulazioni e il proprio benvenuto all’ambasciatore, dopodiché gli chiese se aveva con sé le proprie credenziali. L’ambasciatore estrasse la copia originale delle credenziali e gliela consegnò. Il vicedirettore generale comunicò che avrebbe disposto le cose affinché il giorno dopo, dopo aver incontrato il capo del Cerimoniale diplomatico della Repubblica Italiana, l’ambasciatore potesse presentare le proprie credenziali al presidente Giuseppe Saragat. Dal Palazzo presidenziale avrebbero inviato un’automobile speciale su cui, oltre al funzionario del Cerimoniale diplomatico, sarebbe potuto salire solo l’ambasciatore.

Così, anche il 20 aprile 1971 è una buona giornata da ricordare nella storia delle relazioni sino-italiane. Nel pomeriggio di quel giorno venne inviata una limousine presidenziale Alfa Romeo decapottabile di lusso per prelevare l’ambasciatore. L’automobile, su cui erano state sistemate le bandiere di Cina e Italia, era preceduta e seguita da un gruppo di motociclette di scorta. I diplomatici dell’ambasciata la seguivano, guidando lentamente verso il Palazzo presidenziale. La folla ci salutò dalla strada. La scena fu piuttosto impressionante e provai un fluttuare di emozioni.

Alle 17.30, nella sala della reception, comparve il presidente Saragat e in un’atmosfera solenne l’ambasciatore Shen Ping presentò le credenziali. Il presidente invitò poi l’ambasciatore in un’altra sala per una conversazione amichevole. Io e il traduttore italiano, il signor Mario Bini, li seguimmo.

Il presidente Saragat, uomo imponente con una voce profonda e sonora, usò parole che non potrò mai dimenticare. «Abbiamo voluto che l’ambasciatore Shen consegnasse subito le sue credenziali principalmente per esprimere il profondo sentimento di stima e amicizia del popolo italiano e mio per il popolo cinese». Stima e amicizia già testimoniate in passato dal presidente: infatti l’8 febbraio del 1959, il senatore Saragat si era rivolto al Parlamento perché riconoscesse formalmente la Repubblica Popolare Cinese.

Le relazioni si rafforzano

Dopo l’istituzione dei legami diplomatici tra Cina e Italia, le relazioni bilaterali crebbero sotto ogni aspetto. L’Italia prese a migliorare attivamente i rapporti bilaterali in tanti ambiti: commercio, cultura, educazione, scienza e tecnologia, settore militare e visite di alto livello. Al tempo la Cina stava attraversando il periodo speciale della Rivoluzione Culturale, e pur tra le difficoltà i due Paesi fecero avanzare stabilmente le proprie relazioni.

Il 17 maggio 1971, il ministro italiano del Commercio internazionale Mario Zagari guidò per la prima volta in Cina una missione governativa economico-commerciale composta da 76 persone. Il figlio del presidente Saragat aveva incontrato la delegazione per trasmettere i cordiali saluti di suo padre al presidente Mao Zedong. Le due parti discussero per la prima volta di un accordo commerciale a lungo termine e di cooperazione economica e tecnologica. Il premier Zhou Enlai ricevette tutti i membri della delegazione.

Il 28 ottobre dello stesso anno, il ministro cinese dell’Economia e del Commercio Bai Xiangguo guidò la delegazione economico-commerciale del governo cinese in visita in Italia.

Al fine di promuovere lo sviluppo delle relazioni economico-commerciali, il governo italiano fornì al governo cinese prestiti e applicò tassi d’interessi più bassi, permettendo l’utilizzo di parte dei fondi per la realizzazione di progetti in vari ambiti, dall’istruzione all’industria tessile, dalla stampa alla produzione calzaturiera, dall’abbigliamento al comparto automobilistico, dalle attrezzature meccaniche alla tecnologia e alla formazione di personale. In tali settori ciò promosse notevolmente l’innovazione e la crescita del nostro Paese. L’Italia fu il Paese occidentale a erogare il maggior numero di prestiti, e fornì inoltre gratuitamente assistenza a Beijing, Chongqing e ad altri centri, diventati così un punto di riferimento nei progetti di cooperazione amichevole tra Cina e Italia.

Nel novembre del 1971, Vittorino Colombo, politico italiano e senatore della Democrazia Cristiana, il principale partito di governo, guidò per la prima volta in Cina la delegazione dell’Associazione italo-cinese per gli scambi politici, economici e culturali. La visita fu fruttuosa, e Colombo incontrò il premier Zhou Enlai. Il senatore ricoprì le cariche di ministro in vari gabinetti e di presidente del Senato. In circa trent’anni si recò in Cina più di venti volte, imprimendo una spinta notevole, con un lavoro di diplomazia non governativa, al miglioramento della cooperazione amichevole tra i due Stati. Colombo è stato un politico italiano e un amico del popolo cinese degno di essere ricordato ora, in occasione del 50esimo anniversario dell’allacciamento delle relazioni diplomatiche tra Cina e Italia.

Nel gennaio del 1973, il ministro degli Esteri italiano Giuseppe Medici condusse in Cina quasi tutti i dirigenti di alto livello del Ministero. Questo viaggio, il primo per il ministro, contribuì ad approfondire e sviluppare le relazioni bilaterali e la conoscenza e fu fruttuoso, poiché si raggiunse la firma del primo accordo sugli scambi studenteschi d’oltremare. Durante la visita, il premier Zhou Enlai incontrò il ministro degli Esteri Medici e la sua delegazione.

Si stava promuovendo gradualmente l’istituzione dei rispettivi Consolati nei due Paesi. Nel maggio del 1985 fu ufficialmente inaugurato a Milano il primo Consolato generale della Cina. Successivamente, l’Italia aprì un Consolato generale a Shanghai.

Le visite di alto livello

Il 3 novembre 1979 il presidente Hua Guofeng svolse la sua prima missione in quattro Paesi occidentali: Francia, Germania, Regno Unito e Italia. Era la prima volta che un capo di Stato cinese metteva piede nella penisola, il che assunse un significato storico. I media italiani dissero che “il Marco Polo cinese aveva visitato l’Italia”. A Venezia il presidente Hua salì su una barca del XVIII secolo a forma di dragone per un giro sul Canal Grande, sulle cui sponde la folla creava una scena di grande impatto visivo. Fu il primo incontro tra i capi di Stato di Cina e Italia e durante i colloqui Hua affermò che le relazioni in via di sviluppo tra Cina e Italia non erano una questione di espedienti. Tra i due Stati non c’erano conflitti ma solo comuni interessi, ed entrambe le nazioni confidavano di poter godere di condizioni internazionali pacifiche. La Cina sperava nella prosperità e nella felicità del popolo italiano e reciprocamente l’Italia augurava alla Cina la prosperità e la felicità della sua gente.

Ascoltai allora da interprete le osservazioni fatte dal Presidente Hua, ed oggi, guardando indietro al continuo sviluppo delle relazioni bilaterali negli ultimi cinquant’anni, confermo pienamente il significato di vasta portata di tali affermazioni.

La visita del presidente cinese Hua Guofeng (a destra nella foto; a sinistra Francesco Cossiga) in Italia. (foto di Chen Baoshun)

La visita del presidente cinese Hua Guofeng (a destra nella foto; a sinistra Francesco Cossiga) in Italia. (foto di Chen Baoshun)

Il 17 settembre 1980, l’ottantaquattrenne presidente italiano Sandro Pertini iniziò la sua visita ufficiale in Cina. Fu il primo presidente della Repubblica italiana a visitare la Cina. Ebbi l’onore di fare da interprete per dieci giorni. Oltre a Beijing, il presidente visitò Guangzhou, Xi’an, Shanghai ed Hangzhou.

Pertini è stato il più bevoluto presidente italiano. Aveva fatto il soldato, era stato giornalista e autista di taxi. Aveva dedicato la propria vita alla causa della rivoluzione. Coraggioso combattente antifascista, aveva subito sei attentati, era evaso da prigione sei volte ed era stato condannato all’ergastolo e a morte. Era stato uno dei membri alla guida del Comitato di liberazione nazionale e aveva dato contributi eccezionali alla liberazione e alla ricostruzione postbellica dell’Italia. Mi disse che in prigione aveva letto La condizione umana, dell’autore francese Malraux, e aveva sfogliato di frequente i giornali per seguire le vicende della lotta del popolo cinese contro gli invasori giapponesi. Il discorso che pronunciò al pranzo di Stato l’aveva scritto lui stesso, per esprimere la propria profonda amicizia verso il popolo cinese.

La visita del presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini alla Peking University; a sinistra il preside dell’università Zhou Peyan, a destra Chen Baoshun. (foto di Chen Baoshun)

La visita del presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini alla Peking University; a sinistra il preside dell’università Zhou Peyan, a destra Chen Baoshun. (foto di Chen Baoshun)

Durante la visita, i leader cinesi Hua Guofeng, Ye Jianying e Deng Xiaoping tennero con lui conversazioni cordiali. Il presidente disse che per combattere l’ardua battaglia dell’umanità per raggiungere la pace era indispensabile il contributo della Cina. Durante la sua visita diede dimostrazione del suo carisma e della sua personalità unica. All’Università di Beijing mostrò grande entusiasmo ed energia e cambiò lì per lì programma chiedendo di poter parlare faccia a faccia con gli studenti. Li incoraggiò a studiare seriamente dicendogli: «Il futuro vi appartiene. State studiando con impegno le scienze e la cultura, ma spero che approfondiate anche l’arte dei vostri leader nel governare il Paese. Non ho dubbi che alcuni tra voi diventeranno un giorno i responsabili di questa grande nazione».

Io nutro la speranza che l’amicizia tra i popoli cinese e italiano e la profonda cultura che impregna i due Paesi permetteranno a queste due antiche civiltà di fiorire nella nuova era, e diano ai due popoli di marciare fianco a fianco verso altri cinquant’anni ancora più gloriosi, scrivendo nuove e stupende pagine sullo sviluppo della società umana.

In occasione del cinquantesimo anniversario dell’istituzione dei rapporti diplomatici tra Cina e Italia, spero sinceramente che il continuo sviluppo della cooperazione amichevole e la concordia tra i due popoli possano essere tramandati di generazione in generazione.

L'autore è l'ex console generale cinese a Milano in Italia.

Tutte le foto sono offerte dall’autore.

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