Maxime Mbanda: i 70 giorni più impegnativi della mia vita

2020-08-10 09:43:45
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Maxime Mbanda è un attaccante della nazionale italiana di rugby. Nel marzo scorso, nel periodo più critico per l’Italia dell’epidemia di Covid-19, egli è entrato nell’organizzazione locale di volontari della sanità e, in 70 giorni, ha trasportato in ambulanza un centinaio di malati di coronavirus. Di conseguenza, è stato insignito dal presidente italiano Sergio Mattarella dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica. Ecco di seguito un nostro servizio in materia.

Dai dai dai, ok! metti la mano a terra... Dai dai dai, spingi...

Maxime Mbanda, 27 anni, 1,89 metri di altezza e un peso di 106 chili, è l’attacante di spicco della nazionale italiana di rugby. Quando l’epidemia di Covid-19 ha colpito un gran numero di italiani, le risorse sanitarie del paese erano allo stremo. Verso la metà di marzo, Mbanda, a casa per la prevenzione dell’epidemia, ha deciso di aderire all’Associazione di volontari della Croce Gialla di Parma, dedicandosi al trasferimento dei malati con le ambulanze. Egli ricorda che sebbene si fosse preparato a fondo, quando è entrato per la prima volta nel reparto di isolamento, l’impatto psicologico è stato profondo. Ha ancora davanti agli occhi la scena del trasferimento del primo malato.

Per me, era davvero la mia prima esperienza in quel mondo, negli ospedali. Nei reparti malattie infettive c’era gente che urlava dal dolore, che piangeva, che era spaventata. Il primo paziente, soprattutto, che ho trasportato, era lì dentro da una ventina di giorni e mi ha raccontato che il primo giorno che è stato trasportato in ospedale, dopo tre ore era morto il suo compagno di stanza. E’ stato un episodio che mi ha segnato, però, grazie agli altri volontari con esperienza ho capito che il mio obiettivo era di salvare quelle persone, che dovevo pensare al mio lavoro e all’obiettivo di salvare e fare stare meglio.

Nei 70 giorni successivi, Mbanda ha partecipato al trasferimento di un centinaio di malati. Per evitare il cambio della tuta protettiva e ridurre i rischi di infezione, come molti altri volontari, egli ha deciso di non pranzare. Nel periodo più difficile, di giorno era sfinito per l’intenso lavoro e, di notte, non riusciva ad addormentarsi per la forte pressione psicologica. Fortunatamente, egli ha persistito fino alla fine. Ripensando a quest’esperienza, egli osserva che il suo unico rimpianto è di non aver fatto prima del volontariato.

Quello che stavamo facendo non è esattamente come i medici e gli infermieri ma, nel nostro piccolo, stavamo cercando di salvare una vita. Perché trasportare una persona da un posto dove aveva meno possibilità di essere curata in un modo efficiente in un altro dove aveva più possibilità di essere curata e di essere salvata, era come salvarla. E quando uscivi dall’ospedale con questa persona, avevi letteralmente la sua vita in mano.

Per encomiare gli eroi della lotta all’epidemia, il 3 giugno il presidente Mattarella ha insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica 57 cittadini che hanno dato contributi speciali durante l’epidemia, e Mbanda è uno di loro. L’onore imprevisto, egli intende condividerlo con le migliaia di volontari che hanno lavorato in silenzio.

Non me l’aspettavo. Ho ricevuto la notizia mentre mi stavo allenando con la mia squadra. Ovviamente, è un motivo di orgoglio, sono felicissimo, sto pensando ai miei genitori, a quello che possono pensare del proprio figlio. Però nella mia associazione ci sono volontari da 20-30 anni, che ogni giorno cercano di dare una mano, di dare un apporto alla comunità, senza aver mai ricevuto un’onorificenza del genere. Io faccio uno sport di squadra, nel rugby quando si vince non è una sola persona che festeggia ma tutta la squadra, quindi mi piace condividere questo merito con tutti.

Con l’attenuarsi dell’epidemia in Italia, le varie attività sociali e la vita quotidiana della popolazione si sono gradualmente normalizzate. Mbanda ha smesso di trasferire i malati, e ha ripreso gli allenamenti e le gare. Tuttavia, egli afferma che d’ora in poi continuerà a fare del volontariato. D’altro canto, l’epidemia gli ha fatto capire che solo abbandonando i pregiudizi e praticando la solidarietà è possibile affrontare il virus - il nemico comune dell’umanità.

Quando ero dentro l’ambulanza, eravamo tutti uguali, pensavamo solo a cercare di salvare i malati, quindi non c’era più il fatto di bianco, nero, giallo... cercavamo soltanto di salvare le persone. Ho molti amici cinesi tra l’altro qui. L’importante è rispettare l’uno la vita dell’altro e andare avanti, siamo tutti sotto lo stesso cielo, e cercare di convivere il più pacificamente possibile.

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