Sorprese spiacevoli dietro le delizie della tavola
  2012-01-04 11:05:03  cri

Ogni anno un gran numero di pescicani vengono uccisi solo per le loro pinne, che vanno a finire nella prestigiosa e costosissima "zuppa di pinne di pescecane"; il tonno blu, per il suo sapore delizioso, va a finire nei sashimi e sushi della cucina giapponese, per cui è in via di estinzione; certi paesi, col pretesto della ricerca scientifica, danno la caccia alle balene, per cui, in aggiunta alla loro bassa capacità di riproduzione, 5 delle 13 specie di balene esistenti sono ormai in via di estinzione. Quante tragedie si nascondono quindi dietro alle delizie della tavola?

Attenzione al quadro ecologico e al pianeta Terra, a Chinatime!

La caccia alle balene: un assassinio sotto false spoglie

Col pretesto della "caccia alle balene per motivi di ricerca scientifica", ogni anno il Giappone ne uccide 1500, anche nella zona di interdizione del sud dell'Oceania. Col pretesto della "caccia scientifica", il Giappone caccia le balene per fini commerciali e politici e, anche di fronte all'opposizione della comunità internazionale, dice di avere i suoi buoni motivi. Perché il Giappone volta sempre le spalle al trend mondiale nella caccia alle balene, e continua a cacciarle in ogni modo? Secondo l'esperto del Centro di ricerche sul Giappone dell'Università Fudan, Xu Jingbo, ciò si dove a tre motivi: la storia alimentare dei giapponesi, il loro concetto speciale delle balene, e gli interessi. Come maggiore paese cacciatore di balene del mondo, da decenni il Giappone difende con impegno il suo diritto di caccia alle balene perché mangiare carne di balena è una sua tradizione culturale risalente a ben 4000 anni fa. Secondo l'illustrazione dell'Associazione giapponese della caccia alle balene, questa caccia è comparsa già nel 12esimo secolo in Giappone, e all'inizio del 17esimo è iniziata quella di gruppo. Con lo sviluppo delle tecniche, la caccia collettiva si è diffusa sempre più nel paese.

In realtà, la caccia di grande dimensione alle balene è iniziata solo dopo la seconda Guerra Mondiale.

Secondo le statistiche del quotidiano giapponese Asachi Shimbun, fra la popolazione del paese, solo il 4% consuma spesso carne di balena, il 9% la consuma occasionalmente, il 53% non l'ha mai consumata, e il 33% dice che non la consumerà mai. Secondo una recente indagine, solo metà dei giapponesi hanno assaggiato la carne di balena, e la maggior parte tempo fa.

Come un paese isolano scarso di risorse naturali e non autosufficiente di cereali, il Giappone deve mantenere avanzate tecniche di caccia alla balena ed anche l'abitudine della sua popolazione di consumare carne di balena, e non solo il manzo straniero. In breve, la caccia alle balene e il consumo di carne di balena sono strettamente legati alla sicurezza alimentare del paese. Se un giorno la situazione internazionale si facesse tesa e comparisse una crisi alimentare, il Giappone dovrà ancora dare la caccia alle balene per nutrire la sua popolazione.

Per spiegare la giustizia della caccia delle balene, il Giappone dice che la carne di balena è un'immancabile fonte di proteine nella vita quotidiana dei giapponesi, per cui sulle loro tavole non può mancare questa carne sicura e nutriente.

La realtà è che il latte dà un importante contributo alla salute dei giapponesi.

Con la ripresa economica dopo la seconda Guerra Mondiale, il governo giapponese ha iniziato a sviluppare il settore caseario, dando inizio ad una "rivoluzione bianca". Nel 1954 il Giappone ha promosso tramite la legislazione il piano di aggiungere il latte nella refezione scolastica. Negli anni '60, il governo ha avanzato lo slogan "un bicchiere di latte rafforza la nazione", per cui nel 1992 la quantità di latte consumata pro capite dai giapponesi ha raggiunto i 68 kg, il che ha evidentemente rafforzato la loro costituzione fisica.

Secondo le previsioni della Commissione internazionale della caccia alle balene, dopo essere stata arpionata, la balena muore in media in 14 minuti, a volte anche in qualche ora. Dopo essere stata colpita una volta, la balena continua a nuotare, e dato che il suo strato di grasso sottocutaneo è molto spesso, occorre colpirla più volte per finirla. Tuttavia, secondo l'osservazione diretta dei membri dell'organizzazione "Green Peace", le balene vengono rimorchiate vive dietro le navi e muoiono mentre vengono trascinate nell'acqua. Qui infatti i balenieri le trafiggono ancora con gli arpioni o le sparano sul muso, finché muoiono.

Come motivo per cacciare le balene, il Giappone adduce che per la loro mole, una eccessiva protezione potrebbe mettere in pericolo la sopravvivenza di altre specie ittiche minori, sabotando l'equilibrio ecologico degli oceani; inoltre la popolazione di pesci del tipo balene continua a crescere. Tuttavia i giapponesi non considerano affatto la capacità di regolazione del sistema di equilibrio ecologico naturale, e trascurano anche l'influenza delle attività umane sull'ambiente ecologico e sull'estinzione delle specie.

Il sistema ecologico naturale dispone della capacità di autoregolazione, quindi è impossibile che il consumo di pesci delle balene provochi l'estinzione delle specie, perché il sistema permette agli esseri marini di vivere in uno stato di equilibrio. La caccia incontrollata alle balene negli ultimi 200 anni ha provocato direttamente la rapida riduzione del loro numero, anzi alcune specie si sono già estinte. Almeno 5 delle 13 specie di balene sono in via di estinzione. L'area marina del Polo Sud è stata stabilita come zona di tutela delle balene. Tuttavia alcuni paesi continuano le attività di caccia alle balene in via di estinzione. Inoltre, la collisione delle navi, l'inquinamento da oli pesanti e il deterioramento ecologico dei mari provocato dalle attività umane, come progetti di gas naturale e petrolio nelle aree di attività delle balene, ne minacciano anche la sopravvivenza. Per via delle attività umane e dei cambiamenti climatici, il delicato sistema ecologico del pianeta si è fatto sempre più fragile e le specie biologiche sono in estinzione a un ritmo mille volte superiore al normale, fra cui le balene.

Il crudele processo di lavorazione del fegato d'oca e delle pinne di pescecane

No alle pinne di pescecane: senza mercato, non c'è motivo di uccidere

In Cina le pinne di pescecane sono considerate un piatto di lusso. Quanto alla loro comparsa sulle tavole cinesi, secondo la leggenda, si dovrebbe al navigatore Zheng He, che 600 anni fa compì la prima lunga traversata dei mari nella storia della Cina. Passando per i mari dell'Asia sud-orientale, visto che il cibo scarseggiava, i suoi marinai cercarono da mangiare sulle isole. Zheng He vide che i locali consumavano solo la carne del pesce, gettando le pinne e la coda, allora ordinò loro di raccogliere questi rifiuti e di cercare di cucinarli. Alla fine trovarono un modo di cucinare le pinne di pescecane, che finirono così sulle nostre tavole. Si può quindi dire che all'inizio si trattò di un riutilizzo di rifiuti e di una forma di risparmio, mentre adesso l'amore per le pinne di pescecane è ormai diventato il principale motivo della caccia ai pescicani.

Secondo le statistiche, 110 varietà di pescicani sono ormai in via di estinzione. Il numero di alcune si è ridotto dell'80% negli scorsi 50 anni. Nel contempo, le pinne di pescecane compaiono sempre di più nei ristoranti cinesi. Un funzionario dell'Onu ha avvisato che occorre adottare delle immediate misure per impedire la caccia ai pescicani, in caso contrario il loro futuro è in pericolo.

In realtà, negli ultimi anni nelle varie parti della Cina è iniziata una campagna di rifiuto del consumo di pinne di pescecane; in particolare, con l'appello di famose star e l'iniziativa concreta di alcune grandi imprese cinesi, i consumi diminuiscono sempre di più.

In un recente spot pubblicitario, il famoso cestista cinese Yao Ming, che indossa una T-shirt nera, insieme a un centinaio di bambini di pelle diversa e che parlano varie lingue, lancia un appello per la salvezza dei pescicani, ribadendo nel video lo slogan: senza mercato, non c'è motivo di uccidere.

Yao Ming ammette di aver consumato pinne di pescecane, tuttavia, dopo essere diventato "ambasciatore della tutela dei pescicani" nel 2006, ha sempre onorato la promessa di non farlo più, e spera che la sua iniziativa possa influenzare un pubblico maggiore a fare lo stesso. Egli dice:"Occorre sempre del tempo per capire bene qualcosa. Adesso io non solo non consumo più pinne di pescecane, ma invito anche gli altri a fare lo stesso."

Il 21 novembre scorso, l'hotel Peninsula di Hong Kong ha annunciato che per motivi ecologici, a partire dal 1 gennaio dell'anno prossimo sospenderà la fornitura di piatti a base di pinne di pescecane. Si tratta del primo hotel di Hong Kong che ha posto del tutto fine alla vendita di pinne di pescecane.

Negli ultimi anni a Hong Kong, con l'appello delle organizzazioni mondiali di tutela ambientale, i dipartimenti governativi, i gruppi sociali e i party individuali hanno ridotto il consumo di zuppa di pinne di pescecane, sostituita con del brodo. Negli ultimi 3 anni, la vendita di pinne di pescecane a Hong Kong si è ridotta del 15%. Quindi siamo fiduciosi che dopo che il pubblico avrà capito i danni arrecati all'ambiente ecologico dal consumo di pinne di pescecane, il loro consumo avrà fine, diventando storia.

Il fegato d'oca origina da un crudele trattamento

Ecco la storia del fegato d'oca

Il fegato d'oca francese è soprannominato il "re mondiale delle vivande ecologiche" per le sue funzioni di ridurre il tasso di colesterolo e dei lipidi, ammorbidire i vasi sanguigni e ritardare l'invecchiamento... Questo tradizionale piatto francese fa venire l'acquolina in bocca a tutti. Facendo un paragone, in Cina il prestigio del fegato d'oca equivale a quello delle pinne di pescecane e dei cetrioli di mare.

La storia del fegato d'oca si può far risalire agli antichi romani di 2000 anni fa, i veri scopritori del suo gusto delizioso. Quanto alla Francia, il fegato d'oca venne offerto come tributo al re Luigi XV, che dopo averlo gustato, ne fu entusiasta. Divenne così famoso e venne elogiato da molti scrittori, musicisti e artisti del tempo, il che pose le basi della sua incrollabile posizione di massimo prestigio.

Il foie gras è una specialità della cucina francese: dal gusto leggero, è però così costoso che la gente comune se lo può raramente permettere. Tuttavia la Francia non è il primo paese produttore di fegato d'oca del mondo. Infatti, vista la crudeltà del processo di produzione, ha provocato l'energica opposizione delle organizzazioni francesi di tutela degli animali, per cui l'Ungheria, con una lunga storia di allevamento di oche, è diventata il maggiore paese produttore di fegato d'oca. A che livello di crudeltà arriva questo processo di produzione? Chi l'ha visto, forse ha perso tutta la sua passione per il foie gras.

L'Ungheria è il maggiore paese esportatore di fegato d'oca del mondo. I contadini ungheresi, purtroppo, escogitano tutti i modi più crudeli pur di ottenere il fegato d'oca, che vale 30 euro al kg. Al punto che un'oca che vive in Ungheria, non vorrà mai più rinascervi in una prossima vita! Infatti, appena nata, può vivere solo qualche ora come un'oca normale, perché, poco dopo la nascita, viene subito presa in consegna dall'allevatore.

Nelle prime 12 settimane, le ochette sono richiuse in gabbiette di fili di ferro, da cui fuoriesce solo il collo, che viene fissato a un supporto per addestrarne i muscoli. L'allevatore aumenta ogni giorno la quantità di cibo, in modo che lo stomaco delle ochette diventi grande come un sacco di farina.

Solo dopo che i muscoli del collo e lo stomaco sono diventati forti come il ferro, inizia la vera crudeltà. Ogni giorno, al mattino, a mezzogiorno e alla sera, tre volte, l'allevatore infila un tubo di ferro di 20-30 cm nella gola dell'oca. Sei chili di un misto di mais e altri mangimi entrano così nel suo stomaco. Senza tempo per digerirli, inizia il pasto successivo. Dopo 18 giorni, il fegato diventa grasso e grande 6-10 volte quello normale.

Solo questo tipo di fegato, estratto con attenzione, forma il vero e proprio foie gras francese. Quello leggermente danneggiato va a finire nella pasta di foie gras, e naturalmente, anche il prezzo diminuisce. Il fegato grasso ha un peso medio di 600-900 grammi e il massimo raggiunge i 2 kg. Per garantire il gusto grasso e delicato, l'allevatore cerca anche di ridurre al massimo la quantità di calcio nel mangime. Senza calcio sufficiente, le oche si ammalano di rachitismo e non si muovono più nella gabbia. Oltre alle ferite al becco e al collo, devono anche sopportare il dolore allo stomaco e alle gambe, non possono dormire, nè muoversi, né, figuriamoci, vedere il cielo e l'acqua del fiume.

In occidente, molti paesi condannano il metodo di produzione del fegato d'oca e l'hanno gradualmente proibito.

Nel 1998 l'Ue, sotto la pressione delle organizzazioni di tutela degli animali, ha condannato ufficialmente i paesi impegnati nella produzione di fegato d'oca. Di seguito, la Polonia, la Danimarca, la Germania, l'Austria, la Gran Bretagna e la Norvegia hanno immediatamente reagito, proibendola al loro interno. Nel 2006 Israele ha fatto lo stesso.

Oggi, solo due paesi dell'Ue continuano la produzione di fegato d'oca, Francia e Ungheria. Il cosiddetto "decreto di proibizione 2019" è l'ultimatum nei loro confronti.

Come la presenza di più alto livello sulla Terra, l'umanità non solo ha il diritto di occuparla, ma anche e soprattutto delle responsabilità nei suoi confronti. Certe esigenze meno importanti mettono in pericolo gli animali, fino all'estinzione. Quindi, di fronte alla scena della superficie del mare chiazzata di sangue, diciamo un fermo "no" a specialità culinarie efferate come la zuppa di pinne di pescecane!

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