Quinto Convegno sulla diaspora wenzhouese: l'educazione della seconda generazione di wenzhouesi in Italia e all'estero
  2014-12-03 21:09:18  cri




Il 6-7 novembre si è tenuto all'Università di Wenzhou il Quinto Convegno sulla diaspora wenzhouese, incentrato sulla comunità cinese di Prato, che ha visto la presenza di funzionari governativi locali e statali, di studiosi di varie università cinesi, dell'Università di Firenze, e del Centro di Prato della Monash University, e di dirigenti dell'Ufficio scolastico della Regione Toscana.

"Wenzhou è una delle prime 14 città costiere aperte della Cina, ed è famosa per il coraggio dei suoi imprenditori dopo la riforma: 1.750.000 wenzhouesi sono attivi nel business in tutta la Cina, con 242 Camere di Commercio, e 600.000 nel mondo intero, in cui hanno creato una rete globale, per cui ci dice che 'dove c'è mercato ci sono i wenzhouesi e dove ci sono i wenzhouesi c'è il mercato'. Il governo della città è molto attento al ritorno degli investimenti dei suoi imprenditori nel mondo, eredi dello spirito dell'antica scuola pragmatica di Yongjia."

Nel suo intervento in sede di apertura del convegno, Xu Yufei, vice presidente della Conferenza Consultiva Politica della città di Wenzhou, ha così riassunto le caratteristiche di Wenzhou, da cui proviene la maggior parte dei cinesi residenti in Italia.

I temi trattati al convegno sono stati il network commerciale e il capitale sociale degli emigrati wenzhouesi, di cui vi abbiamo parlato nel programma precedente, i cambiamenti sociali della comunità cinese di Prato, e i rapporti fra l'educazione dei cinesi all'estero e l'eredità linguistica. Oggi ci occuperemo di quest'ultimo argomento.

Maria Omodeo, docente di lingua cinese all'Università di Firenze e responsabile per l'Asia del Cospe (Cooperazione Sviluppo Paesi Emergenti), è venuta per la prima volta in Cina nel 1980, e da allora ha fatto moltissimo per l'educazione dei figli dei wenzhouesi in Italia e per i contatti fra le scuole italiane e quelle cinesi, specialmente di Rui'an e di Wenzhou.

"Fra 100 allievi in Italia, 10 sono stranieri, di 196 paesi del mondo, e tutti hanno delle difficoltà con la lingua italiana. All'Istituto Professionale Sassetti di Firenze, l'80% degli allievi sono stranieri, il 75% dei quali cinesi, il 42% dei quali arrivati dopo i 10 anni da Wenzhou."

Dalle cifre presentate da Maria Omodeo, emerge l'importanza della creazione di un curriculum internazionale di studio.

"Rispetto a due anni fa, stiamo cercando di fare un curriculum internazionale nelle scuole superiori italiane e professionali, perché moltissimi ragazzi cinesi vengono indirizzati alle professionali. Quest'anno è stato istituito l'insegnamento del cinese in una scuola professionale dove hanno il 75-80% di alunni cinesi, di cui più della metà arrivati da pochi mesi, quindi poteva sembrare una contraddizione mettergli il cinese, invece è un modo di valorizzare quello che già sanno, e fargli vedere che c'è una continuità didattica. La scuola di Pan Shili mette un insegnante che insegna economia in cinese, a tutti, anche ai ragazzi che il cinese non lo sanno un granché, quindi con una tecnica molto pragmatica. Sta funzionando, è cominciato da pochi mesi, e abbiamo già chiesto il riconoscimento del ministero come scuola a curriculum internazionale cinese, come ci sono quelle di francese e di inglese. E' una scuola pubblica, e grazie alla scuola di Pan Shili facciamo un distacco di insegnanti dalla Cina, e il ministero pare molto interessato."

"Il corso di economia è diventato in cinese e poi l'idea è che ogni anno si aggiunge un pezzo di materie non linguistiche, usando quindi il cinese come lingua veicolare per le materie studiate, quindi dopo per il curriculum questi ragazzi, anche italiani, ma sono pochi in questa scuola, possono avere un riconoscimento anche qui a Wenzhou, ossia il loro percorso è riconoscibile come fosse stato fatto qui. L'idea è fare un curriculum internazionale per accedere alle università che vuoi, cosa non facile... Abbiamo visto che tanti ragazzi che hanno finito le superiori dicono che non possono tornare in Cina per il livello basso di cinese, mentre in Italia hanno un basso livello di italiano, quindi loro stessi spingono per un curriculum unico, complementare."

"Il numero in termini assoluti dei ragazzi cinesi nelle scuole italiane non sta diminuendo, però c'è un turnover spaventoso, hai sempre un 42% di nuovi arrivati, dov'è finito l'altro 42%? Tornano in Cina".

Maria Omodeo osserva che i genitori temono che i figli non trovino lavoro in Europa per la crisi crescente palese, allora li rimandano in Cina, facendo fare loro dei percorsi accidentati, un po' in Cina e un po' in Italia. Una scuola di Rui'an ha 1500 bambini con genitori in Europa, e 4 classi di allievi dall'Italia, e ne arrivano sempre di nuovi, quindi la continuità didattica si fa sempre più difficile. I ragazzi in Cina sono indietro col cinese e in Italia con l'italiano. Molti sono inviati negli Usa per l'inglese, per cui la diaspora dei minori è impressionante. L'unica risposta è l'internazionalizzazione dei curricula.

Pan Shili, citato poco fa da Maria Omodeo, è il fondatore e direttore della Scuola Cinese di Firenze, ed ha un passato di esperto di pedagogia a Rui'an, una città presso Wenzhou. Diamogli subito la parola.

"La nostra scuola ha 13 anni. Negli ultimi 4 anni i progressi sono stati veloci, abbiamo corsi di cinese per le elementari e per le medie inferiori e superiori, di due anni ciascuno, e forse faremo un centro in collaborazione con l'Università di Wenzhou. Abbiamo 498 allievi cinesi e 17 docenti di Wenzhou, con dei corsi al pomeriggio e nel fine settimana, molto sostenuti dal governo locale. Teniamo anche delle attività con la Regione Toscana e con l'Istituto Confucio, in italiano e in cinese, mantenendo i contatti con gli insegnanti delle scuole italiane, in modo che gli allievi sentano di essere seguiti sui due campi, della lingua italiana e della lingua cinese. Vogliamo che i nostri ragazzi a scuola siano dei bravi studenti, a casa dei bravi figli, e nella società dei bravi cittadini. Il nostro concetto base è che come prima cosa devono studiare l'italiano per entrare nella società italiana, e il cinese per stare al passo con i tempi."

I docenti della Scuola Cinese di Firenze sono inviati dall'Ufficio statale cinese per i cinesi d'oltremare, dall'Università di Wenzhou e dall'Università di Magistero del Zhejiang, il che è molto importante, perché portano con sé le nuove didattiche interne cinesi. Infatti l'Ufficio statale cinese per i cinesi d'oltremare ora spinge a fondo per la standardizzazione delle scuole di cinese all'estero, per ovviare alle carenze attuali.

La Scuola Cinese di Firenze collabora dal 2001 con il COSPE e aderisce al Gruppo di insegnamento per i cinesi in Italia, attivo in otto città italiane, volto a diffondere un modello standard di didattica della lingua cinese per i cinesi.

Pan Shili dice che la Cina si sviluppa in fretta, e che i genitori dei ragazzi cinesi in Italia sanno che la lingua cinese sarà fondamentale per loro in futuro.

"Vogliamo formare dei cittadini completi, perché adesso occorre avere il concetto del villaggio globale, non di un singolo paese."

Allo studio del cinese non sono solo interessati i ragazzi cinesi emigrati in Italia, ma anche i giovani italiani, secondo Eleonora Marchionni, docente staccato all'Uffico Istruzione della Regione Toscana, incaricato dei curricula:

"Il discorso del cinese sta interessando molto le scuole perché è il loro modo di avere un'offerta formativa più ampia, anche rispetto all'utenza, e non a caso le scuole che aprono il curriculum internazionale non sono le scuole tecniche professionali, ma sono i licei classici, in crisi di iscrizione, ma l'utenza, le famiglie, hanno un progetto per i figli, sanno che studiare il cinese, l'arabo e il russo è importante."

Marchionni ha aggiunto che hanno proposto dei corsi di cinese a un liceo linguistico già con 3 lingue, e sono arrivati 90 iscritti, per cui hanno attivato 3 corsi. Tutti vogliono continuare, per cui è stato introdotto l'esame HSK con l'Istituto Confucio.

Anche secondo Maria Omodeo la domanda di cinese è molto alta: quest'anno all'Università di Firenze i ragazzi sono raddoppiati, l'anno scorso erano 100, quest'anno 230, che frequentano tutti e... l' aula è piccola. E' stato aperto l'Istituto Confucio, che per fortuna ha messo a disposizione degli insegnanti. Anche a Siena c'è un boom di iscritti.

L'anno scorso è uscito il primo contingente di insegnanti italiani abilitati a insegnare il cinese alle superiori.

Quanto all'insegnamento dell'italiano agli allievi cinesi in Cina, secondo Maria Omodeo, occorre creare dei gruppi di lavoro per produrre materiali didattici, e gli insegnanti staccati faranno questo. Alcune sue studentesse di cinese che insegnano italiano in Cina stanno facendo la tesi di laurea su questa esperienza. Insegnano italiano a Rui'an ai ragazzi cinesi che si apprestano a riunirsi ai genitori in Italia e a quelli che sono appena tornati dall'Italia, e ad Hangzhou agli allievi di una scuola superiore.

Parlando di emigrazione e immigrazione e dei problemi collegati, a questo punto vale la pena di fare un breve riassunto della storia dell'immigrazione in Italia. Ce ne parlerà Valentina Pedone, docente dell'Università di Firenze e vice direttore dell'Istituto Confucio della città.

"L'Italia ha mandato degli emigrati all'estero sin dalla sua fondazione, e poi è diventata meta di migrazioni da Somalia, Eritrea Etiopia, e negli anni '80 dal Marocco. Le leggi sull'immigrazione risalgono al 1986, 1990, 1998, e 2002, e l'ultima impone un lavoro regolare per poter avere il permesso di soggiorno. Ora in Italia gli immigrati legali sono 5 milioni, nell'ordine rumeni, albanesi, marocchini e cinesi".

Secondo Valentina Pedone, in Italia l'immigrazione è vista come un problema dai media, e gli immigrati sono descritti come emarginati e pericolosi. Quanto ai contributi degli immigrati alla cultura italiana e ai prodotti creati dagli immigrati cinesi, l'insicurezza materiale degli immigrati provoca una scarsa partecipazione alla vita culturale locale.

Dagli studi di Valentina Pedone emerge che la letteratura e arte straniera in Italia si può suddividere in tre stadi. Agli anni '90 risale la prima opera in collaborazione con italiani, "Ero un venditore di elefanti", del senegalese Pap Kouma con il giornalista Oreste Pivetta. Secondo: testi scritti individualmente, biografie dell'emarginazione e rapporti con il paese di origine, come "Scontro di civiltà in ascensore a Piazza Vittorio", di Lakous Amara, poi diventato un film. Il terzo inizia con scrittori della seconda generazione nati in Italia, che hanno un miglior livello di lingua italiana, per esempio "La mia casa è dove mi trovo" di Igiaba Scego.

Quanto agli scrittori cinesi, le prime opere pubblicate risalgono all'inizio degli anni '90, ma la produzione è inferiore numericamente a quella delle altre etnie. Per i cinesi è molto importante avere prima un lavoro per mantenere i figli. In certe opere emerge il desiderio di farsi capire dagli italiani, e a volte dai lettori stranieri immigrati.

Alcuni artisti di origine cinese: Mao Wen è un regista, poeta, scrittore, pittore, e attore nei suoi film brevi che parlano di solitudine e di altri temi, non solo legati ai cinesi. L'attore Peter Yu fa spettacoli misti di musica elettronica e opera cinese con artisti stranieri, è anche un disegnatore grafico che mescola classico e moderno. Quanto ai fumetti, Chen Xi opera prima a Roma e poi negli Usa, con opere ispirate anche ad elementi buddisti, e a "Il giardino incantato" di Calvino.

Un'attiva partecipazione di cinesi della seconda generazione si nota in campo teatrale, con laboratori con italiani su temi interculturali, come il dramma "La pietra bianca" di Roberto Giuliani e del drammaturgo cinese Yang Xiaping. L'opera parla dell'amore fra un italiano e una cinese a Prato e dei problemi con le loro famiglie, ed è interpretata da una compagnia mista di italiani e cinesi.

"Chi ha inventato gli spaghetti?" è uno spettacolo di danza di 6 studenti cinesi del progetto Marco Polo e 6 italiani, che parlano in cinese.

L'attore Shi Yang è l'autore e interprete dello spettacolo Tongmen, ospitato da Spazio Compost di Prato, sulla storia di una famiglia cinese e sul dilemma fra essere italiani o cinesi per gli emigrati in Italia. Shi Yang è un attore poliedrico, una star della TV in Italia, ed ha anche interpretato una parte nel famoso sceneggiato TV cinese "Una famiglia di Wenzhou".

Questo sceneggiato ha avuto un grande successo presso il pubblico cinese, ma ha molto deluso il Comune di Prato, secondo la testimonianza di Antonella Ceccagno, dell'Università di Bologna, una prova della diversa interpretazione dei cinesi e degli italiani del successo dei wenzhouesi in Italia.

Questo è anche vero. Ma ora torniamo alla cultura: Spazio Compost Prato nel 2012 ha ospitato Tongmen e nel 2013 Cento Fiori Rossi, uno spettacolo realizzato a partire dalle testimonianze di cittadini cinesi residenti a Prato, scritto da Letizia Russo con la partecipazione di artisti italiani e cinesi.

Inoltre il sito web Associna, operato dalla seconda generazione di cinesi in Italia, ha organizzato in ottobre a Roma una "Chinahour" per gli studenti cinesi del progetto Marco Polo.

"Due sono i valori di una lingua, utilitario e affettivo, in generale unificati, ma a volte no, nel caso degli emigrati all'estero che non parlano più la lingua madre, a cui però sono legati da un rapporto affettivo."

Così afferma Cao Xiuling, direttore dell'Istituto di insegnamento del cinese per stranieri dell'Università di Magistero di Shanghai. Aggiunge che la diaspora cinese nel mondo è iniziata da tempo e continua ancora, con moltissime comunità ovunque nel mondo. Secondo i più recenti dati del Programma delle Nazioni Unite per le migrazioni, in Cina vivono 680.000 stranieri, ma i cinesi nel mondo sono 2.200.000, i cui figli hanno dei problemi di trasmissione della lingua madre e di identità.

Le comunità cinesi nel mondo sono molto più tradizionali rispetto alla madrepatria. Con l'indipendenza dei paesi del Sudest asiatico, è nato il problema dell'identità e dell'educazione dei cinesi emigrati: all'inizio esistevano delle scuole private di cinese, ed ora degli istituti a cui la rete speciale del governo cinese invia degli insegnanti specializzati.

A Prato la comunità cinese parla il dialetto wenzhouese, e i giovani hanno sulle spalle il peso dello studio dell'italiano e forse anche dell'inglese, e in più del cinese. In generale, i giovani cinesi all'estero devono conoscere l'inglese e il cinese, il che è un problema legato alla globalizzazione.

Ora ritorniamo all'interno della Cina, per esaminare un'interessante iniziativa rivolta ai figli degli emigrati wenzhouesi mandati in patria a studiare. Si tratta della classe internazionale della Scuola elementare sperimentale di Wenzhou, di cui ci parlerà She Yandong, dell'Istituto di Magistero dell'Università di Wenzhou.

"Alle spalle di questa ricerca c'è l'enorme presenza di wenzhouesi nel mondo, e il problema dell'educazione dei loro figli all'estero. Le situazioni emerse sono tre: i ragazzi studiano nelle scuole locali all'estero, con molti problemi, oppure in scuole aperte da cinesi locali per i bimbi wenzhouesi. I wenzhouesi all'estero sono molto ocupati, e spesso i figli non si adattano nelle scuole straniere, allora li rimandano in Cina, ma qui l'insegnamento è diverso, allora per ovviare si aprono delle classi speciali nelle scuole migliori."

La classe internazionale è iniziata a livello delle elementari nel 2008 nella migliore scuola di Wenzhou, con due classi al primo anno, una rispettivamente al secondo e al terzo anno, e una classe unificata al quarto, quinto e sesto anno. La classe è formata da 103 alunni provenienti da Gran Bretagna, Stati Uniti, Italia, Spagna, Olanda, Siria, e Taiwan, ma il 60%, più della metà, arriva dall'Italia, quindi i ragazzi presentano un enorme divario di conoscenze di base e di livello di lingua e cultura generale.

Inoltre non hanno i genitori accanto, che sentono solo per telefono, e vivono con nonni o amici, il che è diverso dai bimbi locali.

Le materie sono di sei tipi: 1. di base, uguali in Cina e all'estero, ossia lingua, matematica e inglese; 2, musica, arte e sport; 3, fisiologia ed educazione civica; 4 scienze e ricerche; 5, nozioni di cultura cinese, un contenuto speciale per questi ragazzi che torneranno all'estero.

Dall'analisi dei corsi emerge l'importanza data al divario di educazione, allo studio individuale, e all'insegnamento del cinese.

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