Documentari in Cina: tè e cultura cinese agli occhi del regista Wang Chongxiao
  2013-12-31 19:57:20  cri



Il tema del nostro primo programma dell'anno si addice perfettamente al titolo della rubrica, perché parleremo di tè in Cina e nel mondo. Tramite il documentario "Il tè: storia di una foglia", trasmesso da poco dalla CCTV e molto apprezzato dal pubblico cinese.

Il nostro ospite di oggi è il regista del documentario, Wang Chongxiao, 40 anni appena compiuti. Giornalista di formazione, ci parlerà non solo di tè, ma anche delle aspirazioni dei giovani registi cinesi. Cominciamo subito, innanzitutto, a cosa si deve la scelta del tema del tè?

"Bevo tè da anni e mi piace, ma mi sono accorto di non capirlo a fondo e nel modo giusto. Dai libri sappiamo come i cinesi bevevano il tè in passato, ma nel corso delle riprese abbiamo capito che adesso è diverso, quindi il documentario intende far capire al pubblico come stanno davvero le cose, questo era il pensiero iniziale."

Nel 2002-2003 la CCTV ha iniziato a girare una serie di documentari storico-culturali sulla Città Proibita, sulle Grotte di Dunhuang, sul Buddismo, ecc., per presentare la cultura cinese, e in dieci anni forse il pubblico ha ricavato una migliore comprensione. Nel frattempo hanno scoperto che il tè è un tema simbolico per la Cina, al livello più alto, insieme alla cetra, agli scacchi, alla calligrafia, alla pittura, alla poesia e al vino. La vita dei cinesi, semplici o istruiti che siano, non esula mai dal tè.

Wang Chongxiao fa notare che i cinesi non hanno una forte fede religiosa, diversamente dall'Occidente, ma nella cultura cinese c'è comunque un'aspirazione verso l'alto, espressa in Occidente nella religione e nella filosofia:

"Anche in Oriente esiste la filosofia, ma è soprattutto l'estetica della vita ad esprimere quest'aspirazione, per esempio con una tazza di tè. In Cina tutti bevono il tè, per lo più per dissetarsi, ma alcuni non solo per goderne il gusto e il profumo, ma anche e soprattutto per riflettere sul senso della vita. Il concetto in seguito è passato in Giappone, quindi penso che il tè sia un ottimo vettore del pensiero cinese".

La cerimonia del tè è arrivata in Giappone dalla Cina. Più di un secolo fa l'esperto di tè giapponese Gangcangtianxin ha detto che la cosiddetta cerimonia del tè è "una forma di venerazione di una bellezza incompleta, e la ricerca di uno stato di dolce pienezza nella vita, che chiaramente è incompleta".

Il mondo e la vita sono incompleti, pieni di mancanze, ma la ricerca della perfezione, anche per un solo attimo, è possibile, anche solo con una tazza di tè.

Lu Yu, lo scrittore cinese autore del "Chajing", il Classico del tè, dice che il tè si addice a chi nutre delle alte aspirazioni, e non a chi si gode la vita e ricerca solo le cose materiali. Forse lui era così.

Zhou Zuoren, il fratello di Lu Xun, dice che il tè si addice a tre, cinque buoni amici che lo bevono in un pomeriggio soleggiato, diventando quieti e immersi nella bellezza, e poi escono per strada e ridiventano come gli altri, ma prima erano completi. Il senso cinese è quindi simile a quello giapponese.

Il filosofo Lin Yutang negli anni trenta-quaranta ha scritto: i cinesi non sanno occuparsi di cose serie come la politica e l'economia, ma eccellono nei lati ameni della vita, come bere il tè e cucinare, in cui sono i più simpatici della terra e sono tutti degli esperti. I cinesi hanno un amore per la dimensione della vita diverso dalla logica e dalla razionalità dell'Occidente. Aspirano alla conoscenza essenziale, vera, direi come tutti gli asiatici. Ma ora ridiamo la parola al regista Wang Chongxiao: 

"Con il documentario voglio trasmettere al pubblico una sensazione: adesso la società cinese è affannata con il lavoro, i cui risultati stupiscono il mondo, ma al prezzo della distruzione delle città, che sono diventate tutte uguali, e dell'ambiente, di una scarsa felicità generale e di paura del futuro, perché? Dobbiamo riflettere su questo e ripensare alla nostra cultura tradizionale: i cinesi non privilegiano la politica o l'economia, altrimenti in migliaia di anni sarebbero cambiati, ma il mondo interiore, come realizzare l'equilibrio interno. Con il documentario, tramite il tè, voglio dare un'ispirazione, anche se lieve, ai cinesi, su questo aspetto".

Secondo Wang Chongxiao, in Oriente, soprattutto in Giappone, i cambiamenti culturali sono cominciati un secolo fa con l'impatto con l'Occidente, ma in Cina solo da trent' anni. Tutti vanno in direzione della civiltà occidentale.

"Penso che la civiltà occidentale abbia un grande valore per l'Oriente. Purtroppo non abbiamo appreso il meglio, ma solo la superficie, la parte tecnica. Cosa peggiore, abbiamo tralasciato il meglio della nostra cultura, il contatto con la natura, l'equilibrio interiore."

Wang Chongxiao ha aggiunto che si dice che l'antico Oriente fosse ricco, ma in realtà i cinesi erano poveri e vegetariani, mangiano carne da soli trent'anni, prima non sono mai stati sazi, ma allora non c'erano dei grandi conflitti fra le persone, come la Seconda Guerra Mondiale in Occidente. Come sono sopravvissuti questa armonia e questo equilibrio? Questa è la cosa che ha più valore nella cultura cinese.

Adesso i cinesi vivono meglio, anzi sono nel loro migliore periodo storico, ma anche nel meno felice, con problemi ad ogni livello, alto e basso. La virtù, la generosità e la bontà per cui erano famosi nel mondo spesso vengono meno. Su questo, dice Wang Chongxiao, devono riflettere.

"Noi cinesi non siamo qualificati a criticare il pensiero occidentale perché non abbiamo studiato le cose fondamentali, questo è un grave problema per la cui soluzione occorrerà del tempo. Ma la nostra generazione di personale dei media può fare qualcosa, dei prodotti culturali o dei documentari, per presentare il meglio della nostra cultura. In cento anni abbiamo studiato solo l'esteriorità dell'Occidente. Adesso dobbiamo studiare la nostra tradizione, quello che abbiamo dentro, è più facile, per capirne il meglio, altrimenti introduciamo l'esteriorità della civiltà occidentale e perdiamo il meglio della nostra, il che è tragico per la nostra nazione."

Wang Chongxiao ha aggiunto che il primo passo del lavoro che stanno facendo è raccogliere il meglio della tradizione cinese, e il secondo scoprire poco per volta il meglio dell'Occidente. Questa volta, con il documentario sul tè, hanno ripreso come lo bevono gli inglesi. Dei suoi amici registi hanno ripreso il Louvre, e hanno capito direttamente il nucleo dell'estetica e dell'arte occidentale. I registi di documentari cinesi adesso possono fare solo questo.

Il documentario in sei puntate "Il tè: storia di una foglia", diretto da Wang Chongxiao, racconta le storie di coltivatori di tè e di persone che hanno fatto del tè il centro della loro vita, non solo in Cina, ma anche in Giappone, in India, in Africa e in Gran Bretagna. Ha richiesto tre anni di lavoro, e nel corso delle riprese, il team ha avuto molte sorprese:

"Le belle sorprese sono state tante: noi tutti amiamo il tè, e siamo stati felici di sentire le storie meravigliose di coltivatori e di gente comune. Le difficoltà sono state parecchie: nel Xinjiang, sui monti Kunlun, siamo andati a raccogliere il tè lungo un sentiero ampio solo 30 cm su cui può passare solo un mulo, per tre giorni, con pietre che rotolavano dall'alto. Nelle riprese del pellegrinaggio in Tibet, abbiamo seguito per venti giorni una famiglia tibetana, era dicembre, faceva molto freddo e mancava l'ossigeno, il che ci ha sfiniti".

Hanno anche incontrato molte persone straordinarie, come Zhang Tianfu, di 103 anni, già famoso al tempo della Repubblica Nazionalista.

Wang Chongxiao ha ricordato che alla fine dell'epoca Qing la coltivazione del tè in Cina era arretrata, gli inglesi in India erano avanzati, la lavorazione era meccanizzata, e sul mercato mondiale la Cina non vendeva più il suo tè, allora alcuni cinesi sono andati a studiare in Giappone e in Occidente. Una volta tornati, hanno riformato la tecnica di lavorazione del tè, fra cui Zhang Tianfu, poi condannato come elemento di destra e mandato in campagna, dove però era sempre bene accolto per le sue conoscenze sul tè. Adesso a 103 anni sviluppa il tè organico. E' un fervente cattolico, ama il tè e pratica le arti marziali sin da giovane, per cui è eccezionale. Un vero esperto di tè dovrebbe essere una persona così. 

Visto il successo ottenuto, ci sarà un seguito al documentario sul tè? Ecco la risposta del regista:

"Visto che le reazioni sono buone, forse faremo una seconda parte, per i bambini, con delle nozioni sul tè di 5 minuti, in 100 parti, da mettere in rete. Andremo in profondo, parlando di teiere, tazze, spazio, design, case da tè, il tè in casa, in giardino, la musica del tè, la pittura, e il dialogo con il caffè e il vino rosso dell'Occidente, per capire le differenze e le affinità con l'Occidente, insomma i contenuti sono moltissimi. In 10-15 anni forse potremo finire la serie e forse allora potrò scrivere un libro".

Wang Chongxiao è stato a Las Vegas, dove si tiene la più grande fiera del tè del mondo, e ha partecipato a un convegno con i leader della Coca-Cola e di una grande impresa di caffè, dal titolo: Nel 2020 il tè diventerà la prima bevanda mondiale, al posto del caffè. Almeno questa è una supposizione delle due grandi aziende. Per esempio il tè combatte le radiazioni del computer. I cinesi sono vegetariani da secoli, ma ora mangiano carne e si ammalano, ma il tè può riportare l'equilibrio, non il caffè e la Coca-Cola. In Cina, la catena Starbuck offre già il tè, e in futuro anche la Pepsi-Cola, il che è una bella cosa.

Quanto al caffè, così amato in Italia, Wang Chongxiao ha scoperto che in Occidente la sua diffusione è legata a continue guerre di aggressione, mentre la diffusione del tè dalla Cina nel mondo è stata del tutto pacifica, il che fa riflettere.

Hai ragione! Ma quali sono state le reazioni del pubblico cinese al documentario?

"Sono state ottime nell'ambiente del tè: alla Fiera del Tè di Shenzhen, appena finita, il documentario ha ottenuto dagli specialisti il massimo premio annuale per i prodotti mediatici sul tema del tè; abbiamo appena partecipato al Festival della TV delle due Sponde dello Stretto, in cui sono stati presentati due documentari del continente e due di Taiwan: noi quello sul tè e la serie di 100 puntate brevi sulla Città Proibita. I registi di Taiwan hanno molto apprezzato il mio lavoro."

A questo punto Wang Chongxiao ha ricordato:

"Nel corso delle riprese, abbiamo avuto un'impressione del tutto diversa: eravamo felici. Negli altri documentari il processo era doloroso, per esempio nella Città Proibita eravamo in mezzo a degli oggetti bellissimi, ma le storie avvenute laggiù sono orribili, come del resto in tutte le corti del mondo. Ma il mio documentario sul tè non parla di storia, ma di gente del tè, della sua vita semplice nella natura, senza le pressioni e il pessimismo delle città, è gente ottimista e felice, anche se non è ricca. Per cui nel corso delle riprese eravamo felici, un caso unico, dall'inizio alla fine. Per questo voglio continuare a riprendere il tema, per arrivare a unificare nella gioia la vita e il lavoro".

Wang Chongxiao ha una formazione di giornalista, questo come influenza il suo ruolo di regista?

"Nel corso del convegno, i registi di Taiwan mi hanno chiesto se ho studiato cinema come loro, ma io no, ho imparato da solo. Gli studi di giornalismo mi servono molto perché guardo alla realtà, non alla superficie delle cose: molti si occupano di una stessa notizia, ma un bravo giornalista deve avere il proprio parere perché il suo pezzo si distingua. Ho avuto la fortuna di partecipare all'epoca migliore del giornalismo cinese, il programma 'Dongfang Shikong', 'Tempo orientale', in onda dal 1993 al 2008, quindici anni molto importanti nella storia della TV cinese. Nel '93 i giornalisti cinesi avevano degli ideali, non pensavano al guadagno, e vivevano con 600 yuan al mese in stanzette nei sotterranei, rinunciando a delle buone posizioni nelle province. Io sono arrivato nel 1998, e ho imparato molto, la tecnica delle notizie e della TV e soprattutto l'etica professionale. Adesso, a volte, i media cinesi hanno problemi di corruzione, ma al tempo no, per cui sono orgoglioso di esserci stato. Poi sono passato ai documentari".

Nell'estate del 2012 Wang Chongxiao ha girato il documentario "Il sorriso di Zhaxika", in zone tibetane, dopo aver scoperto la storia dei moltissimi casi di labbro leporino nei bambini dell'altopiano, dovuti forse a problemi di igiene della procreazione e di alimentazione.

A Chengdu ha incontrato due sorelle tibetane che lavorano per aiutare i bambini colpiti, allora ha girato la storia.

Le riprese sono state difficili, un operatore è caduto e si è rotto tre costole, e alla fine sono riusciti a farlo operare, altrimenti sarebbe rimasto paralizzato. La zona di Zhaxika si trova fra il Sichuan e il Qinghai, vicino a Yushu, a 4800 metri di altezza, si dice che a 4500 non si possa vivere in permanenza, ma i tibetani ci stanno tutto l'anno. Molte fondazioni fanno già le operazioni gratis per il labbro leporino, ma i tibetani non lo sanno, allora con il documentario ha voluto far conoscere la notizia.

Ha vinto il Premio Panda d'Oro del Concorso intenazionale dei documentari del Sichuan e altri premi interni. Wang Chongxiao vuole girare altri documentari di questo tipo per aiutare i gruppi più deboli.

"Adesso vorrei girare un documentario sul quadro ecologico e sull'inquinamento. Il problema maggiore per i cinesi di adesso non sono le guerre e la fame, ma l'ambiente. I trent'anni di sviluppo industriale della Cina sono stati troppo intensi, l'Europa ha impiegato duecento anni, e forse il risanamento dei danni ci costerà tutta la ricchezza accumulata finora. E' un tema triste legato a tutti, perché l'inquinamento colpisce ormai tutta l'Asia, anche l'India, il Vietnam e la Birmania sono in fase di industrializzazione, e la popolazione è così numerosa. Vorrei girare una storia sui dei vecchi villaggi di frontiera, belli e originali, ma così fragili, colpiti dall'inquinamento, per fare un confronto e indurre alla riflessione".

Per finire, passiamo alla riflessione di Wang Chongxiao sul valore dei documentari:

"Anche in Cina parliamo di documentari indipendenti e dei media, per TV e cinema, come nel resto del mondo. Quelli indipendenti fanno emergere il concetto di valore del regista, ma a volte è difficile trasmetterli, e i secondi sono diretti al grosso pubblico. I documentari in tutto il mondo non mirano al guadagno, ma, come abbiamo detto insieme ai registi di Taiwan, sono una forma di educazione estetica del pubblico tramite i concetti di valore del regista e la sua riflessione, a volte contrari a quelli del main stream".

Wang Chongxiao osserva che adesso il denaro è al primo posto in Cina, dall'alto in basso: il governo vuole il GDP, la gente comune l'alloggio e l'auto, e i più ricchi i figli all'estero, ossia guadagnare per diventare stranieri, il che è una tragedia.

Secondo il regista, la società cinese ha bisogno di un confronto, e i documentari possono servire, facendo conoscere alla società come realizzare i valori della vita, e migliorare la propria patria e terra, che noi stessi abbiamo rovinato. I nostri figli non possono vivere in un ambiente così, dobbiamo cambiarlo, dobbiamo essere responsabili, è una situazione che i cinesi devono affrontare, non eludere. E' difficile, ma Wang Chongxiao è orgoglioso di poter fare qualcosa come regista per cambiare la situazione.

Il regista mi ha detto che il suo regista preferito è Andreij Tarkovsky, di cui apprezza molto "Scolpire il tempo", insieme agli altri registi, scrittori, poeti e musicisti dell'ex Unione Sovietica. Quanto al cinema italiano:

"Nel passaggio da giornalista a regista ho visto soprattutto film del Realismo italiano, come 'Ladri di biciclette', che in pratica sono dei documentari. Penso che registi di documentari e registi originali come Jia Zhangke possano assorbire molto dal cinema italiano. Questo è sicuro. Personalmente, amo tantissimo 'Nuovo Cinema Paradiso'. All'inizio degli anni novanta era difficile per noi vedere film occidentali, erano tutte edizioni pirata. 'Nuovo Cinema Paradiso' parla dell'amore di un ragazzo e degli italiani per il cinema, e dell'influenza sugli italiani del ruolo del cinema. I registi non devono sottovalutare il loro lavoro, perché possono influenzare molto il pubblico, e molti film italiani sono su questo tono".

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