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Eva Vitagliano: "Da quando aveva intrapreso lo studio della lingua cinese, non aveva dubitato nemmeno un attimo della sua scelta. "
2009-08-05 15:21:06 cri     

Seduta innanzi ad una normalissima scrivania a fissare una valigia vuota e aperta, pronta per esser riempita chissà se di vestiti, regali o quant'altro ? sentendosi a casa nell'udire le voci di chi, nel corridoio, fuori dalla sua stanza, andava su e giù per sistemarsi per la notte ? quasi dimenticava che quella sera le toccava svuotare ogni cassetto e liberare ogni mensola per essere pronta per la partenza dell'indomani che l'avrebbe portata nuovamente?

A casa? ? si chiedeva ? o forse solo nella Terra che le aveva dato i natali?

E nonostante l'amore particolare che aveva sempre nutrito per il Paese dei suoi antenati, continuava a riflettere sulla possibilità che anche il luogo così "diverso e lontano", dal quale stava meditando, potesse meritare l'appellativo di "casa".

30 i giorni che l'avevano voluta ? fino a quel momento ? lontana dalla sua famiglia. Se erano molti o pochi, questo non sapeva dirlo.

A lei, infatti, bastava affacciarsi alla finestra, guardar lontano e perdersi tra gli innumerevoli tetti e le incantevoli luci delle pagode e dei piccoli templi, perché quelle poche settimane diventassero anni e secoli di storia che erano entrati a far parte di lei.

Si trovava nella "Terra di mezzo", ? così avevano voluto chiamarla gli stessi abitanti ? nella Terra che lei amava definire "delle cose semplici".

E pensare che, giusto un anno fa, la nostra diciannovenne era in preda alla confusione più grande dovendo scegliere, tra decine di indirizzi diversi, la facoltà più giusta per lei e per il suo futuro.

La sua caratteristica era quella di far tutto senza un largo anticipo, ma? di far la scelta giusta, alla fine. E proprio quella scelta, oggi, l'aveva portata ad esser lì.

La sua voglia di viaggiare? Di comunicare? O ancora di scoprire "mondi" a lei lontani e sconosciuti?

Non sapeva quale aspetto di sé doveva lodare maggiormente per averla portata a scoprire e, in soli nove mesi, ad invaghirsi sempre più della terra di quelle personcine così curiose e numerose.

Ma sapeva di essere felice.

Era partita dall'Italia conoscendo, di questi, solo quelli che lei ? per "deformazione culturale" ? definiva "occhi a mandorla".

Tra poco sarebbe dovuta tornare in patria e malvolentieri cercava di accettare l'idea.

Quella sera Eva doveva mettere in valigia tutto ciò che doveva portar via.

Prese un foglio di carta bianca e iniziò a scriverci su tutto ciò che non avrebbe dovuto dimenticare.

Ogni suo pranzo: dal primo all'ultimo.

Ogni piatto che aveva ordinato i primi giorni senza avere la minima idea di cosa aspettarsi, dato che dei menu non capiva un singolo carattere; ogni singolo ingrediente sempre ben degustato per il desiderio duplice di capire cosa fosse e quanto fosse ben cucinato.

Il lento scomparire della paura che in Cina non avrebbe mangiato bene e il graduale crescere del piacere di ordinare ogni giorno qualcosa di diverso dai menu che pian piano diventavano sempre più comprensibili.

L'iniziale imbarazzo nel prendere ogni sorta di cibo con quelle bacchette alla cui presa tutto sfuggiva e il conseguente divertimento nell'adattarsi alla semplicità di due normalissime bacchette in grado di sostituire le innumerevoli posate con cui gli occidentali sembravano volersi complicare la vita (ormai vedeva così la differenza tra forchette, coltelli e quant'altro venisse poggiato sulle tavole occidentali e quelle semplici asticine che conservavano dentro il ricordo dei rami d'albero di cui gli antichi si erano sicuramente serviti nell'antichità' per afferrare i cibi che non potevano esser presi con le mani).

E ancora L'affascinante cultura dell'ombrellino sempre aperto per proteggere le donne da una pioggia così diversa da quella che si evita in occidente: una pioggia non fatta di acqua, ma di raggi solari. O l'idea così antitetica ? per lei che veniva dalle terre che erano state di dominio greco arabo e normanno ? che la bellezza equivalesse alla pelle bianca e non all'abbronzatura che faceva invidia a chi era stato qualche giorno in meno sulla spiaggia.

Più andava avanti, più sembrava sentire che il mondo che le apparteneva stava proprio nel suolo che in quei giorni aveva calpestato, in una cultura che non aveva mai conosciuto prima di allora e che adesso le sembrava assurdo non aver mai cercato. Si chiedeva come aveva potuto non pensare che qualcosa del genere ? che si adattava al suo modo di essere più di ogni altra cultura fino ad allora vissuta o conosciuta ? potesse davvero trovarsi da qualche parte.

Amava e ammirava l'energia degli anziani che al mattino presto ? insieme alle prime luci dell'alba ? sorgevano per danzare e cantare nelle strade o per fare esercizi fisici che davan loro la forza di affrontare meglio la giornata.

Invidiava la curiosità che rendeva i grandi e i piccini di questa "Terra ? come diceva lei ? dei verbi non coniugati e dei nomi non declinati" degli eterni bambini: ingenui e sinceri in ogni loro azione e in ogni singolo sguardo di stupore che appariva sui loro volti quando lei ? "ragazza straniera", rossa di capelli, chiara di carnagione e così diversa da loro per costituzione ed abitudini ? passava per le strade, entrava in un luogo salutando chi ci stava dentro o addirittura ordinava del riso come unico piatto per il suo pranzo.

Quanti ricordi le venivano in mente pensando a soli 30 giorni di permanenza in quella Terra dall'eccessivo caldo.

I luoghi visitati, i giardini, i templi, i musei, i corsi d'acqua; ognuno con una sua affascinante storia dietro.

I volti delle persone incrociate per la strada, la disponibilità di chi si fermava a darle indicazioni cercando di farsi capire, i vicoli attraversati e quelle cassette ? forse meglio rese con il nome di baracche ? e quei piccolissimi negozietti che solo dai libri erano venuti fuori per lei, sino a quel momento, comparendo solo agli occhi della sua mente.

Che stupore quando se li era trovati innanzi. Si sentiva fortunata ad avere avuto la possibilità di fare un tuffo in una condizione che poteva immaginare come appartenente solo al passato o alle ambientazioni di qualche libro o film nostalgico.

E lei ci stava proprio dentro!

Aveva visto con i suoi occhi e si era innamorata, con quel piccolo suo cuore, di una terra così grande che le piaceva tanto per la sua semplicità.

Aveva imparato a contrattare (anche questo faceva parte della Cina che amava) e si era dedicata, quanto più aveva potuto, a memorizzare caratteri, a capirne il senso ed a cercarne le origini per meglio poter comprendere ogni cosa che la circondava.

Era affascinata, la giovane studentessa, da quel modo di scrivere, così originale, che caratterizza le parole cinesi più di quelle di ogni altro popolo.

Nonostante la difficoltà, le piaceva che a comporre le parole non fossero un insieme di foni, ma di tratti. Tratti che pian piano componevano un primo "disegno" e poi si sommavano ad altri per dar vita a significati un po' più ampi.

Si accorgeva, grazie a questa capacità di assemblaggio avuta da questa gente minuta e carina, quanto ogni parola fosse legata, nel suo significato, a molte altre ancora; e il fascino che questa cultura suscitava in lei cresceva sempre più.

Fogli e fogli aveva già scritto, ma ancora sentiva di non aver finito.

In quei giorni lì, aveva anche conosciuto antiche credenze che tanto avrebbe voluto far sue.

L'aveva incantata l'usanza di mangiar spaghetti nei compleanni perché ? essendo lunghi ? simboleggiavano la lunga vita che si augura a chi festeggia.

Aveva trovato carino svegliarsi quasi ogni giorno con il rumore dei fuochi d'artificio che qualcuno sparava in cielo in quelli che apparivano normalissimi giorni feriali. Trovava che quello scegliere una data come "giorno fortunato" prima di un evento importante che riguardasse anche una sola persona e il renderlo manifesto con dei fuochi artificiali, era un modo meraviglioso per ricordare a tutti quanto ogni giorno sia speciale nonostante noi siamo immersi nella routine quotidiana; era un gesto splendido per ricordare quanto ? anche se noi soffriamo in quel preciso istante ? la vita ci riservi anche dei momenti belli per i quali gioire e continuare a sorridere; era un'idea originale per render tutti partecipi della propria felicità in un tempo in cui le distanze si sono ingigantite e i rapporti tra compaesani o concittadini, distesi.

Scriveva e scriveva, e aveva l'impressione piacevole di aver passato un'intera vita a contatto con quelle persone e il loro modo di vivere.

Sapeva quanto i cinesi potessero esser considerati non troppo puliti per il loro cucinare per le strade o gettar cose per terra nei ristoranti. Aveva camminato per le viuzze male odoranti.

Eppure, a parlar con lei, anche l'odore poco gradevole diventava la cosa più interessante di cui era bello fare esperienza, assieme al "far capannello" ed intromettersi e guardar le liti per strada, tipico dei cinesi.

Nulla non le piaceva. Compresa la pioggerellina che tanto non aveva mai sopportato e che le sue insegnanti le avevano spiegato si chiamasse "mao mao" per le gocce d'acqua lievi e sottili come il pelo del gatto: così come alle giovani cinesi quella pioggia suggeriva atmosfere romantiche e piaceva perché rinfrescava piacevolmente l'aria durante le giornate estive di intenso caldo, anche per lei iniziava ad esser gradevole, quasi fosse diversa da quella del Paese in cui era cresciuta.

Si sentiva rinata lì: aveva smesso di badar troppo alle apparenze, aveva smesso di volersi sentire grande con tutto quel trucco che tanto piaceva in occidente. Aveva accettato la freschezza dei suoi anni e il biancore della sua pelle.

Accortasi di tutte queste cose, sentiva di non dover mettere niente di più in valigia che questo gran cumulo di emozioni e sentimenti. Temeva di non riuscire nemmeno a chiudere quella valigia così carica.

Da quando aveva intrapreso lo studio della lingua cinese, non aveva dubitato nemmeno un attimo della sua scelta.

Quel Paese tanto lontano e sconosciuto l'affascinava e incuriosiva parecchio senza che lei ne conoscesse le motivazioni.

Forse qualcosa in lei sapeva quanto avrebbe potuto apprezzare quel diverso modo di vivere e di pensare. O forse ? come avrebbero potuto ipotizzare in quella Terra fatta di tante e di nessuna religione allo stesso tempo ? i suoi avi l'avevano indirizzata. Ciò che contava era che adesso sapeva finalmente cosa voleva dire studiare cinese e perché aveva fatto quella scelta. E la risposta stava su tutti quei fogli scritti di getto.

Se prima di allora ? in tutti i suoi anni di studio ? aveva sofferto nel dover stare dietro a programmi ministeriali e nel dover leggere o imparare quello che gli altri stabilivano per lei, adesso iniziava più di ogni altra cosa ad amare la parola "studio".

Trovava nello "studiare cinese" «qualcosa di più» rispetto ad ogni altro studio compiuto fino a quel momento.

Ciò che per altri era "il difficile apprendimento della lingua scritta", per lei diventava un meraviglioso viaggio senza confini verso innumerevoli mondi.

Ciò che per alcuni colleghi di corso era "una difficile materia da superare", per lei era "solo" un grande cassetto da aprire e svuotare per meglio conoscere ogni singola cosa conservata dentro questo.

Ciò che gli altri vedevano come un viaggio necessario da compiere per poi poter più facilmente comunicare e lavorare, per lei era il regalo più bello che si potesse ricevere per tornare in quell'unico posto che, pur non essendo casa, l'aveva fatta sentire serena e felice di vivere.

Ciò che era sempre stato lo stressante studio, insomma, diventava, giorno per giorno, ciò a cui lei si appigliava per non staccarsi più da quella terra che per il momento era costretta a salutare.

Avrebbe portato con se persino la "fu-wu-yuan" che ogni mattina passava nelle stanze per riassettare la camera. Era stata quella donnina dalla voce flebile che l'aveva aiutata nell'imparare i nomi di tutto ciò che la circondava. Quella stessa, che tutti vedevano come una comune "cameriera", per lei era diventata come una balia che aiuta il piccolo di cui si prende cura a pronunciare le prime paroline e a muovere i primi passi in un mondo tanto grande per lui.

Aveva le lacrime agli occhi e sentiva un nodo alla gola. Cercava qualcuno da abbracciare e salutare, ma quel qualcuno era l'intero Paese che l'aveva accolta. Voleva lasciare qualcosa di sé a chi l'aveva resa più felice, ma si rendeva conto che nemmeno questo era possibile perché erano stati secoli di cultura a farla stare bene in una Terra inizialmente straniera.

Teneva gli occhi strizzati per cercare di non far fuggire dalla mente i sorrisi, i gesti ricevuti.

La sua testa girava, il suo cuore batteva forte.

Si sentiva come un'innamorata sul punto di lasciare la persona amata. L'unica cosa che voleva fare, tornata in patria, era cercare quanti più libri e informazioni riguardanti "il suo Paese"; perché ormai le piaceva definire affettuosamente la Cina con queste parole.

Voleva tornare. Ma, s'intende, tornare nuovamente nella terra della Città proibita, nella Terra con la più lunga storia del mondo.

Eppure, si era accorta, doveva tornare nel Paese che l'aveva vista crescere.

In un attimo trovò la forza per chiudere la cerniera della sua valigia, trovò la motivazione per cui tornare presto in Patria.

Aveva un dovere adesso: raccontare a tutti la bellezza di quei luoghi!

Chissà da dove le era nato quel pensiero, chissà cosa avesse in mente in quell'attimo...

Scattò in piedi, guardò la stanza: aveva preso tutto e doveva correre adesso. Non poteva perdere più tempo. Casa la aspettava, il popolo al quale apparteneva la aspettava. Forse nessuno di loro lo sapeva, ma lei sì.

Si sentiva un messaggero, un ambasciatore tornato dal viaggio più importante di tutta la sua carriera. Doveva parlare alla sua Terra di quel volto della Cina che non conosceva, doveva mediare tra queste due culture tra le quali adesso era divisa e che, ormai, le appartenevano in egual misura.

Come un bruco appena diventato farfalla, la nostra Eva aveva ancora da studiare tanto prima di poter finalmente spiccare il volo. Ma questo non poteva fare altro che entusiasmarla.

Non lo sentiva come un vincolo, ma come l'opportunità' più grande che le fosse mai stata concessa. E si chiedeva come aveva potuto dimenticare questo! Come poteva essersi persuasa del desiderio di rimanere lì quando ancora aveva chissà quante cose da scoprire, "quanti cassetti da aprire" prima del suo prossimo viaggio in Cina.

In fondo ? si diceva ? se non avesse intrapreso i suoi studi non sarebbe andata in quella Terra e non avrebbe conosciuto tutto ciò che adesso non voleva più lasciare.

Adesso, se non fosse tornata a casa e non avesse continuato lo studio intrapreso, si sarebbe privata chissà di quali nuove meravigliose scoperte.

La Cina l'avrebbe aspettata! Ne era convinta. Ma lei non poteva più aspettare. Aveva tante cose da fare e doveva sbrigarsi perché non avrebbe resistito molto senza tornare nella Terra dei "baozi".

Voleva riuscire al meglio nei suoi studi perché sarebbe stato l'unico modo per poter mostrare quanto quel Paese con la sua cultura e la sua lingua poteva essere amato.

Prese il volo di ritorno e si avviò verso tutti i nuovi impegni che l'attendevano.

L'occidente doveva sapere quanta vita c'era nello studiar cinese.

-------Eva Vitagliano

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