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Il sapere tecnico scientifico, quale terreno di incontro fra cultura europea e cinese nel XVII secolo.
2007-12-04 15:06:24 cri     

1. Misurare il tempo ed esplorare il cielo.

Perché gli orologi meccanici e le mappe di manifattura europea ebbero così tanto successo nella Cina dei Ming e all'inizio della dinastia Qing?

Saper misurare le distanze, raffigurare su carta la forma delle terre e dei mari, scrutare il cielo individuandone i punti fissi e i fenomeni cosmici, calcolare il tempo e stabilire i calendari, erano abilità conosciute dai cinesi, ma il sapere scientifico di matrice europea, suscitava curiosità e al tempo stesso invitava ad un confronto.

Il titano che nel frontespizio del Novus Atlas Sinensis di Martino Martini spalanca l'enorme porta che dà accesso alla Cina, simboleggia come l'incontro culturale sia stato reso possibile dallo scambio di conoscenze scientifiche in campo geografico, matematico ed astronomico.

Fino al XVI secolo i contatti europei con la Cina erano stati di natura strettamente commerciale e gestiti in totale autonomia dall'Imperatore che stabiliva dove, quando e per quanto tempo i mercanti potevano entrare nella città di Canton per offrire le loro mercanzie. Eppure, a partire dalla fine del '500 e per tutto il '600, i missionari gesuiti riuscirono a penetrare all'interno della Cina, a stabilirvisi e ad ottenere non solo la stima di autorità e letterati, ma addirittura cariche prestigiose.

Quale strategie adottarono? Come riuscirono questi uomini venuti da tanto lontano a vincere la naturale diffidenza cinese senza urtare la loro profonda convinzione di superiorità e il conseguente scarso interesse al confronto?

Pare certo che essi fecero leva sulla curiosità, lasciando intuire di avere piena padronanza di due variabili fondamentali, che consentivano di misurare il tempo e calcolare con esattezza lo spazio, nonché di riprodurlo con precisione sulla carta.

Per la prima volta nella storia, i cinesi si trovavano al cospetto di persone estremamente colte, capaci di prevedere con grande precisione l'avverarsi di determinati fenomeni astronomici e per di più disposti a elargire gratuitamente il loro sapere.

2. Un mondo nuovo

Nel corso della prima metà del 1600 gli studiosi si applicarono ad una nuova elaborazione dei modelli di rappresentazione del mondo congiuntamente alla ricerca di una strumentazione scientifica e tecnica adatta alla dimensioni mondiali assunte dal commercio.

In virtù di tale consapevolezza, anche nel Collegio Romano, che preparava i gesuiti all'incontro con nuove culture, era data grande importanza alla preparazione scientifica, soprattutto dopo la stupefacente scoperta che in Oriente si era sviluppata una civiltà raffinata e fiera del suo sapere. Personaggi illustri, quali Alessandro Valignano, Matteo Ricci, Giulio Aleni, Martino Martini, Ferdinand Verbiest, affrontarono l'inattesa realtà, cercando di comprenderne gli aspetti più rilevanti e privilegiando un confronto continuo con letterati e studiosi di quell'immenso Paese.

La Sinicae Historiae Decas Prima di M. Martini rientra in tale ottica, essendo una comparazione non solo fra cronologia biblica e cronologia cinese, ma anche fra immaginario cinese e occidentale. Lo stesso Novus Atlas Sinensis è oltre che un'opera geografica, un'inchiesta sociografica, una descrizione sistematica di un mondo praticamente sconosciuto in Occidente. Proprio per tali caratteristiche l'Atlas fu inserito nel Grand Atlas di Joan Blaeu, opera di rilevanza eccezionale.

3. I gesuiti pionieri del dialogo interculturale.

L'aspetto fisico degli occidentali appariva, agli occhi cinesi, strano, come strano era l'azzurro dei loro occhi e "la barba simile a quella di un drago". A tali elementi veniva ad aggiungersi la voglia di capire quale ragione li avesse portati in Cina, affrontando un viaggio tanto lungo e abbandonando i loro familiari (in antitesi alla dottrina confuciana), assieme al desiderio di possedere oggetti ignoti e meravigliosi come gli orologi meccanici che suonavano le ore, i prismi, gli strumenti musicali, i quadri realizzati con tecnica prospettica.

Come vennero superate le paure? Quale intuizione consentì di superare questo impasse?

La "mente strategica" fu senza dubbio p. Alessandro Valignano (1539-1606), che inventò un metodo "rivoluzionario", frutto di lunga osservazione, studio, riflessione della società giapponese, metodo che, con modalità diverse, calibrate sulle diverse strutture societarie, fu implementato oltre che in Giappone, in Cina e India.

Cardine della nuova strategia era la conoscenza della lingua del Paese ospitante, elemento fondamentale per poter interloquire senza interpreti e per essere in grado di studiare la cultura, le tradizioni, le usanze e le abitudini di vita, nonché le consuetudini che regolavano i normali rapporti interpersonali.

Una volta appresa la lingua, i gesuiti avrebbero potuto confrontarsi con i mandarini a livello scientifico e culturale, essendo le aspettative cinesi fortemente connotate in senso intellettuale. Da qui la richiesta specifica ai Superiori di Roma - rinnovata per tutto il tempo di permanenza in Cina della Compagnia - dell'invio di nuovi missionari dotati di profonde conoscenze nel campo della geografia, della matematica e dell'astronomia. Ne è una riprova la scelta di Matteo Ricci, alunno del Valignano, e degli altri confratelli via via chiamati in Cina in forza della loro preparazione scientifica, come Sabatino De Ursis, Giulio Aleni, Francesco Sambiasi, Nicolas Trigault, Pierre Van Spiere, Giacomo Rho, Adam Schall von Bell, Wenceslao Kirwitzer, Giovanni Alberich, Martino Martini, Giovanni Schreck (che portò, come dono per l'imperatore, un esemplare di cannocchiale galileiano), Ferdinand Verbiest, Albert d'Orville, Manuel Diaz, Giacinto de Magistris, Prospero Intorcetta. I missionari che giungevano in Cina portavano, in aggiunta alla loro competenza specifica, aggiornamenti nei vari campi della scienza, strumenti scientifici e astronomici di ogni tipo e centinaia di opere di varie discipline.

4. Orologi meccanici.

Matteo Ricci riuscì ad avvicinare letterati ed autorità, facendo leva sulla curiosità. Pose infatti, all'esterno della sua abitazione, un orologio meccanico, in modo che il suono forte che scandiva lo scorrere del tempo divenisse fonte di richiamo. In verità l'orologio non serviva per conoscere l'ora, sia perché altamente impreciso, sia perché i cinesi calcolavano il tempo in modo diverso: un'unità di tempo durava il doppio di un'ora e la giornata era divisa in 100 quarti d'ora (in Europa, 96). Inoltre i cinesi suddividevano il giorno e la notte in periodi di lunghezza diversa, il che comportava metodi diversi per calcolare il tempo: i contadini continuavano a basarsi sull'osservazione del sole e delle stelle, mentre i letterati usavano il metodo cinese. La trovata ebbe successo e l'interesse per gli orologi ad asta o pesi si rivelò un volano formidabile per superare le rispettive diffidenze e paure. Nel '500 in Cina erano in uso clessidre ad acqua (la più famosa è la torre astronomica di Su Song, 1092, un orologio alto 9 metri che indicava la posizione del sole e delle stelle e segnava le ore e le frazioni di ora grazie a congegni azionati ad acqua) ed orologi solari, ma non a congegno meccanico. Ben presto la curiosità scatenò una vera e propria gara fra mandarini, personalità eminenti, letterati e militari per fare visita al missionario, dal quale ricevevano in regalo meridiane, piccoli orologi, globi. E furono proprio gli orologi meccanici, chiamati dai cinesi "campane che suonano da sole", che fecero conseguire a Ricci e ai suoi confratelli il privilegio di entrare nella Città Proibita, quattro volte all'anno, per regolare gli orologi e accertarsi del loro buon funzionamento.

Col tempo l'ammirazione per gli orologi meccanici (che presto gli stessi cinesi impararono a fabbricare) lasciò spazio a critiche di ordine morale, perché distoglievano l'attenzione da ciò che era primario ovvero il benessere degli uomini e l'armonia; spreco di energie considerato il tempo necessario per costruire un orologio o una clessidra e per i correttivi indispensabili per mantenerlo esatto. Il criterio adottato da parte cinese nei confronti della scienza occidentale era infatti commisurato all'utilità che da essa ne poteva derivare, in termini di ricchezza, risparmio di dolore, rafforzamento delle difese dell'Impero. Ciò peraltro non sminuisce la funzione che l'orologio ebbe nell'infrangere le millenarie barriere che separavano l'Occidente dall'Oriente.

5. Mappamondi e cartografia.

Altro manufatto di portata storica nell'incontro delle due civiltà, furono le carte geografiche. Esse ebbero un effetto dirompente. Come mai? La risposta sta forse nell'immediatezza della comunicazione visiva rappresentata dalla mappa e dall'altrettanta immediata volontà di confrontarsi sulla diversa concezione dello spazio.

Ricci nel 1583 aveva realizzato un planisfero che, appeso alla parete, era diventato subito oggetto di grande ammirazione e un mezzo per trasmettere le conoscenze occidentali in campo geografico.

La posizione della Cina risultò del tutto inedita ai cinesi, dal momento che le loro carte geografiche rispecchiavano una visione sinocentrica del mondo, con la Cina collocata al centro e così grande da occupare quasi l'intera superficie delle terre conosciute. Europa e America non comparivano, mentre il Giappone, la Corea e gli altri Stati tributari avevano dimensioni ridotte così da occupare sulla carta una superficie pari a quella di una provincia cinese. Le carte disegnate dall'eunuco Zheng He (1405-1433) presentavano in verità alcuni Paesi dell'Asia centrale e dell'Africa, ma è asseribile che in epoca Ming i cinesi ignorassero l'esistenza dei cinque continenti.

Il mappamondo di Ricci suscitò molte reazioni: ammirazione, come nel caso del shidafu Liang Zhou "recentemente ho visto la mappa di Li Madou con le sue note, le mappe stampate dagli europei e la mappa xilografata in sei fogli della popolazione di Nanchino e per la prima volta mi sono reso conto dell'immensità del Cielo e della Terra", ma anche senso di rifiuto e di offesa nel vedere la Cina tanto piccola; altri erano scettici o si schernivano o facevano del sarcasmo.

Ricci predispose, su richiesta, una copia del mappamondo con i nomi in lingua cinese. Nella realizzazione rinunciò all'eurocentrismo e "tradusse anche l'orientamento della mappa, ponendo il continente eurasiatico a sinistra e le Americhe a destra, in modo da dare alla Cina una posizione centrale e preminente". La "Carta geografica completa dei monti e dei mari", scritta con caratteri cinesi, divideva il mondo in cinque zone: Europa, America settentrionale e meridionale, Asia, Libia (= Africa) e Magellanica (= zona antartica dai confini indefiniti). In cinese anche i nomi degli oceani, dei mari, dei fiumi (Nilo e Rio della Plata, unici menzionati), della Cina e di tutte le province. Solo l'Europa non aveva il corrispettivo nome cinese. Indicati erano i punti cardinali, la linea dell'equatore, mentre erano assenti le linee dei tropici, della latitudine e della longitudine. Il mappamondo cinese - prima carta geografica europea in versione cinese - fu xilografato nel 1584 e molte furono negli anni seguenti le copie, via via arricchite, ma sempre con la Cina in posizione centrale.

La seconda edizione del mappamondo (1600) era identica alla precedente "Carta geografica completa dei monti e dei mari", ma di dimensioni doppie e con nuovi toponimi.

Per quanto riguarda la compilazione delle mappe, in verità, i cinesi avevano anticipato l'Occidente: il planisfero di Suzhou, con la volta divisa in 28 spicchi di larghezza diversa, caratterizzati ciascuno da una particolare costellazione, era stato realizzato nel 1193 dal geografo di corte, e in tempo successivo, inciso su pietra. Planimetrie di buon livello risalgono all'epoca Tang (sec. VIII) e all'epoca Song due mappe scolpite sulla pietra (1136): la "Carta dei sentieri di Yu" e "Carta della Cina e dei paesi barbari", con indicazione di 500 località, 13 fiumi con affluenti e 4 catene montuose.

La rappresentazione geo-cartografica cinese ed europea aveva proprie caratteristiche: gli europei miravano alla maggiore esattezza topografica, ponendo attenzione alla conformazione del suolo, andamento del terreno, altezza dei rilievi, mentre i cinesi ponevano grande attenzione nell'illustrazione del territorio e davano maggiore spazio a note scritte, informazioni di carattere naturalistico, etnografico, geomantico. In epoca Ming, la carte cinesi erano disegnate con il pennello, con grande gusto estetico e l'aggiunta frequente di brevi poesie; quelle europee privilegiavano gli elementi tecnici e quantitativi. Ricci, dal canto suo, si adeguò al gusto cinese, ponendo a margine note di geografia e cosmografia, dati sulla durata del giorno e della notte, la distanza fra la terra e i pianeti dei nove cieli e le caratteristiche climatiche delle varie zone.

Una nuova edizione del mappamondo, la Carta completa delle miriadi di paesi sulla terra, fu terminata da Ricci nell'agosto-settembre 1602: fu xilografato in sei pannelli, che formavano un paravento di ca. 4m x 2m. I Paesi erano indicati, come nei precedenti, dentro un ovale (per richiamare la sfericità della terra) e la Cina era sempre in posizione centrale. Per la prima volta erano segnati, oltre all'equatore, il Tropico del Cancro e del Capricorno e il globo era diviso in cinque zone climatiche: la zona torrida, due regioni subtropicali e due polari. Il meridiano 0 passava in corrispondenza delle Isole Fortunate (attuali Isole Canarie) e le linee di latitudine e longitudine erano tracciate ogni dieci gradi (in conformità con l'atlante di Ortelio). Questa terza edizione del mappamondo aggiungeva ulteriori note in campo geografico, astronomico, naturalistico, storico, antropologico. Le edizioni dei mappamondi possono essere considerate il primo risultato del dialogo interculturale, perché per realizzarle si attinse a conoscenze scientifiche sia europee che cinesi. Del sapere scientifico occidentale, Ricci utilizzò il sistema di proiezione di Ortelio e le informazioni tratte da osservazioni personali e dei confratelli con l'ausilio dell'astrolabio, successivamente verificate sulle mappe e resoconti cinesi. Dalle mappe cinesi derivarono l'uso dei puntini per indicare il deserto; l'adozione di circa 700 toponimi e i nomi di località poste sulle coste africane. Per indicare luoghi sconosciuti ai cinesi, come ad esempio la regione Marche, il gesuita stabilì una relazione con il significato oppure scelse la trascrizione fonetica. Nelle parti descrittive testi obiettivi si mescolano a pure invenzioni, leggende, miti. Ai quattro angoli del pannello disegnò una sfera armillare, l'emisfero australe e boreale, due schemi per illustrare il meccanismo delle eclissi di sole e luna, il movimento dei pianeti, il modo di misurarli e comparare le distanze dalla terra, il sistema per calcolare l'altitudine.

6. I successori di Matteo Ricci: a) Giulio Aleni.

Le informazioni, che Ricci aveva già offerte ai cinesi con il Mappamondo, furono ampliate dalle opere di Giulio Aleni (1582-1649), che fece conoscere ai cinesi località dell'Africa e del Nuovo Mondo. Del tutto nuovi dovettero apparire concetti così espressi: "l'uomo determina i punti cardinali, basandosi sul luogo dove si trova: in realtà, dunque, non v'è luogo che non possa essere al centro", poiché relativizzava in maniera assolutamente rivoluzionaria, rispetto ai parametri cinesi, la concezione dello spazio. Il testo di geografia di Aleni divenne un classico: il Trattato di geografia universale (letteralmente Geografia dei paesi tributari alla Cina) fu stampato ad Hangzhou nel 1623, in sei volumi, dedicati a Asia, Europa, Libia o Africa, Americhe e Magellaniche ossia Antartide, mentre il sesto trattava degli Oceani, delle isole, dell'arte nautica (ogni volume aveva la sua carta). Il più importante miglioramento apportato da Aleni fu la separazione della Nuova Guinea dal grande continente australe (Magellanica), secondo quanto riportato nella relazione di viaggio del capitano spagnolo Luiz Vaz de Torres, che nel 1606-1607 era riuscito a percorrere per la prima volta lo stretto che separa la grande isola indonesiana dal quinto continente.

Rispetto alla carta di Ricci, che aveva collocato la Cina più a Ovest, tra 112° e 132° di longitudine Est (poco al di sotto del vero), Aleni ritornò alla tradizione tolemaica, ponendo la Cina tra 140° e 160° di longitudine Est, il che comportava una minore ampiezza dell'Oceano Pacifico e la possibilità di raggiungere agevolmente le coste orientali dell'Asia partendo da quelle occidentali dell'America.

b) Martino Martini.

Se Matteo Ricci e Giulio Aleni sono entrati nella storia delle relazioni fra la Cina e l'Occidente per aver fatto conoscere il mondo occidentale ai cinesi grazie alle loro numerose opere scientifiche e letterarie, a Martino Martini (Trento 1614 ? Hangzhou 1661) va ascritto il merito di aver fatto conoscere la Cina all'Europa attraverso il Novus Atlas Sinensis, prima opera completa sulla geografia cinese, pubblicata ad Amsterdam nel 1655, che per quasi un secolo rimase ineguagliata. L'opera scritta in latino annovera ben 17 tavole, dettagliate e corredate di un testo estremamente ricco di descrizioni sulla struttura urbana delle città e sugli usi e i costumi delle singole province, tramite una rappresentazione grafica del tutto inusuale, che integrava carte e mappe cinesi e mongole alla tecnica usata nella cartografia europea. Martino Martini fu il primo a redigere un atlante completo e aggiornato della Cina, una raccolta di testi e immagini che potessero illustrare in maniera eloquente quanto di meraviglioso si parava davanti a chi percorreva le strade di quel paese. Per ciascuna provincia l'autore presenta in primo luogo i confini e le caratteristiche generali, i nomi che la provincia aveva assunto nelle varie epoche storiche, l'indole degli abitanti ed i prodotti principali, ad esempio la seta del Zhejiang o il rabarbaro dello Shaanxi. Tale parte introduttiva è seguita dalla trattazione sistematica di ciascuna circoscrizione amministrativa in cui è diviso il governo della regione, secondo la tradizionale struttura piramidale cinese ed esattamente: provincia Sheng, città Fu, circondario Zhou, distretto Xian, municipio Zhen. Per ciascuna provincia, Martini presenta una trattazione separata di ciascuna città Fu, di cui ci fornisce dati sui confini, l'origine storica del nome, i prodotti e le particolarità oroidrografiche, nonché un elenco di tutti i circondari Zhou (marcati con un cerchio contenente un punto nero) e i distretti Xian di cui le città Fu sono eventualmente composte. In appendice alla XV provincia, lo Yunnan, si trova la breve trattazione di tre zone limitrofe ed esterne alla Cina, ma ad essa legate da profondi legami culturali e politici: il Liaodong, la penisola di Corea e il regno del Giappone. A proposito della Corea, così scrive Martini: "Se la Corea sia un'isola o terraferma, non tutti gli europei lo sanno con certezza, ma io non ho dubbi che è una penisola e che non si può in alcun modo circumnavigare (?)." L'Atlas si conclude con un Catalogo delle latitudini e delle longitudini di tutte le località indicate nella trattazione di ciascuna provincia. Si tratta di un elenco prezioso, non solo perché presenta in maniera sinottica tutte le località cinesi, divise per province e città, ma soprattutto perché fornisce la longitudine e la latitudine di tutte le località citate nel testo. Nella rappresentazione geografica del mondo Martini introdusse importanti novità: il meridiano zero passante per Pechino e le annotazioni di geografia umana e sociale ed è proprio la fusione di questi due aspetti ? rappresentazione cartografica di impianto e di rigore europeo e descrizione geografica di tradizione cinese ? che conferì uno straordinario successo all'Atlas di Martini.

L'atlante di Martini, stampato ad Amsterdam nella seconda metà del 1655, fu ristampato in francese ed in olandese nel 1655, in tedesco nel 1656 e in spagnolo nel 1658-1659, ottenendo uno straordinario successo editoriale. Conservò il suo primato fino al 1735, anno in cui il gesuita francese Jean Baptiste Bourguignon d'Anville (1697-1782) pubblicò a l'Aia il Nouvel Atlas de la Chine, utilizzando l'atlante della Cina preparato a Pechino dai missionari occidentali su incarico dell'imperatore Kangxi.

c) Ferdinand Verbiest.

A Ferdinand Verbiest (1623-1688) l'imperatore mancese K'ang-hi commissionò, per ragioni di natura militare e amministrativa, un Mappamondo (Kunyu quantu). Nel 1674, il gesuita belga ne predispose tre esemplari, identici dal punto di vista geografico, ma diversi per formato, decorazioni (entro e fuori gli emisferi) e per talune descrizioni. L'esemplare di maggiori dimensioni è composto da otto fogli, in posizione verticale, dalle dimensioni di cm 53 e m 1,75 di altezza ciascuno, che formano un pannello che si estende in senso orizzontale.

La mappa di Verbiest è simile a quella di Ricci; a matita azzurra, sul verso, in lingua italiana e cinese si legge infatti "planisfero di Matteo Ricci" e "Li Madou kunyu quantu". Sul recto del foglio: la carta è basata sull'atlante che Nan Huairen (=Ferdinand Verbiest) compose nel tredicesimo anno dell'imperatore Kangxi (che corrisponde al 1674). Le due carte si assomigliano, dal momento che rappresentano la terra tramite due semicerchi e presentano la Grande Muraglia, mentre si differenziano per la denominazione Mar Giallo (carta di M. Ricci), che diventa Mare dei Grandi Qing nella carta di Verbiest.

Inediti i suggerimenti pratici come quello di colorare i confini per notarli con più facilità (come nel mappamondo imperiale); la grande padronanza che l'autore aveva in campo cartografico gli consentì di proporre esempi per impratichirsi nell'individuazione sulla carta di una precisa località, con l'aggiunta di un excursus storico sull'evoluzione delle conoscenze in campo geografico e cartografico, breve, ma preciso, almeno per l'epoca.

Nella carta di Verbiest la California è erroneamente raffigurata come isola; l'America del sud ha un'estensione superiore a quella reale e la punta meridionale del continente non è veritiera. Parimenti non è esatta la posizione della Muraglia cinese che, sul mappamondo, arriva al mare, né è di dimensioni reali il deserto al suo interno. L'Italia ha una forma rozza e non si trovano le isole di Sicilia, Sardegna e Corsica, mentre la Nuova Zelanda compare come isola. Nella descrizione introduttiva il gesuita presenta anche eclissi solari e lunari, i calcoli per poterle prevedere e rammenta come solo da 200 anni esploratori europei avessero scoperto nuove terre (alle quali spesso era dato il nome dello scopritore) e operato misurazioni tali da permettere di disegnare carte geografiche dettagliate.

I due emisferi sono circondati da cerchi, che portano, nella parte interna, l'indicazione dei gradi (di dieci in dieci), dall'equatore fino ai poli, mentre all'esterno sono segnate le lunghezze del giorno e della notte nella stagione estiva e invernale nei due emisferi e la durata del crepuscolo ai poli. Nella sezione superiore, di dieci in dieci, sono annotati i meridiani. Il meridiano 0 è supposto passare per Pechino, come in Martini (ciò sottintendeva che la Cina era al centro del mondo). Numerose località, fiumi, monti (disegnati con piccoli tratti), isole, mari (tratteggiati con linee ondulate e disegni di pesci e mostri marini) sono riportati col loro nome ed è indicata anche la Grande Muraglia e il deserto di Gobi (sabbia rappresentata graficamente da molti puntini, simbolo mutuato da Aleni). Da notare infine sulla mappa 15 descrizioni di lunghezza diversa che danno notizie sui paesi rappresentati, sul clima, gli abitanti, i prodotti, gli usi.

L'autorevolezza degli studiosi europei in campo scientifico e tecnico, proprio per i risultati e le evidenze empiriche che riuscivano a produrre, era elevata e accresceva anche la credibilità del loro sapere umanistico. Da qui il confronto e lo scambio con interlocutori cinesi anche in campo letterario e filosofico.

Le ragioni del fortunato incontro culturale tra missionari europei e letterati cinesi ? vanno forse ricercate nell'importanza attribuita tanto per parte cinese che occidentale al sapere tecnico scientifico. Esso costituisce un esempio di capacità di dialogo interculturale, riemerso nei nostri tempi con drammatica attualità come testimonia la letteratura contemporanea che riutilizza, in chiave moderna, quella metodologia, a fronte delle ipotesi sulla ineluttabilità dei malintesi e delle incomprensioni fra culture.

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