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(Presentato nella sezione in concorso del Festival di Cannes 2008)
Regia: Zhangke Jia
Nel cast: Joan Chen, Lu Liping, Zhao Tao
Trama: Tra i colpi di fioretto che i vari festival cinematografici amano sferrarsi a vicenda c'è quello di cercare di portare in concorso il film immediatamente successivo del vincitore del premio più importante della manifestazione "nemica". I selezionatori di Cannes sono in effetti riusciti a "strappare", in questo caso nel vero senso della parola, a Venezia il vincitore del Leone d'Oro 2006 Zhang Ke Jia, che si impose in quella manifestazione con il bellissimo Still Life, oltre ad affermarsi al grande pubblico come uno degli autori contemporanei cinesi più interessanti.
Attento conoscitore delle dinamiche sociali ed economiche cinesi, Zhang Ke Jia ha voluto con il suo nuovo lavoro raccontare la storia di una fabbrica e di un gruppo di persone che per decenni ci hanno lavorato, cercando di far sorgere il dubbio su come l'eccessiva crescita cinese stia in qualche modo cancellando la memoria e la tradizione di una società abituata da sempre a ritmi di vita diversi.
Per uno strano caso del destino Er shi si cheng ji (24 City il titolo internazionale) è ambientato a Chengdu, capitale dello Sichuan, la regione colpita dal recente terremoto che ha causato decine di miglia di morti. La fabbrica metalmeccanica 420 viene chiusa e smantellata per far spazio a uno lussuoso centro residenziale e commerciale di nome 24 city. Zhang Ke Jia, con stile documentaristico, intervista otto personaggi, appartenenti a tre generazioni diverse, e tutti legati direttamente o per vincoli di parentela con ex lavoratori, alla fabbrica chiusa.
Le loro storie, in apparenza personali e private, in realtà, se viste nel loro complesso, sono un lucidissimo e spietato ritratto di com'era la Cina un tempo e di com'è oggi. Il benessere economico e lo sviluppo tanto sbandierato dal governo locale in realtà hanno causato enormi sacche di povertà, e generato moltissime incertezze.
Tra un'intervista e l'altra il regista mostra in modo quasi impietoso lo smantellamento della fabbrica, fino alla scena finale, di forte impatto emotivo, nella quale si vede la struttura crollare generando parecchia polvere e, in lontananza, gli otto intervistati impietriti ad osservare una parte del loro passato, della loro vita, che se ne va per sempre. Er shi si cheng ji non è solo un documentario, ma è anche un avvertimento, un monito del regista rivolto alla Cina a non perdere il contatto con quello che è stato il suo passato. |
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