Giallo a Milano: una miniatura della comunità cinese in Italia
  2014-11-21 16:06:07  cri

Secondo quanto riportato dall'Ansa, agenzia ufficiale dell'Italia, alla 48/a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, diretta da Giovanni Spagnoletti, tra la grande varieta' di documentari presentati, due sono stati dedicati a Cina e Italia, o meglio alla questione dell' emigrazione e integrazione viste da prospettive diametralmente opposte. Si tratta del documentario Giallo a Milano di Sergio Basso, che racconta la vita della comunità cinese a Milano, e l'altro documentario è Grandi speranze di Massimo D'Anolfi e Martina Parenti, che parla della storia di alcuni imprenditori italiani in Cina.

Giallo a Milano è un documentario del regista e sinologo Sergio Basso. Si tratta di un viaggio all'interno della comunità cinese di Milano attraverso le testimonianze di alcuni dei suoi rappresentanti. Si va dall'anziano calligrafo alla ginnasta, dalla studentessa di opera lirica alla direttrice di un dormitorio abusivo, dal collaboratore di giustizia alle fascie di immigrati di nuova generazione con cittadinanza italiana. Una galleria di personaggi che raccontano sogni, storie e problemi, illuminando i molti volti di una comunità che continua a fare parlare di sè. Ci sono tanti personaggi molto rappresentativi della vita degli emigrati cinesi a Milano che certamente riflettono il panorama della maggiori parte dei cinesi che vivono in Italia.

La Via Paolo Sarpi di cui si parla è la chinatown di Milano ed il film è stato girato proprio nella Via Paolo Sarpi. E' una strada pedonale di Milano che si estende per circa 1 km in direzione est, partendo da Porta Volta. È l'asse centrale e fondamentale su cui s'è sviluppata a partire dai primi decenni del Novecento una forte presenza cinese, e comprende anche l'intera area fra le vie Procaccini, Montello e Canonica.

Oggi quando si fa un giro per la Via Paolo Sarpi, ci si rende conto di quanto questa strada sia cambiata rispetto al secolo scorso, come racconta Angelo Ou nel documentario, nel capitolo X "Return to the scene of the crime". Angelo guida Arianna, una giovane ventenne,a fare un giro per Via Sarpi, raccontandole la storia dell'esistenza e della vita dei cinesi emigrati a Milano, perchè questa ragazza è proprio un misto tra cinesi e italiani. I suoi nonni paterni sono siciliani mentre suo nonno materno era un cinese che abitava a Via Paolo Sarpi, dove incontrò la moglie italiana, di Faenza. Mi ricordo che nel documentario Angelo Ou indicando alcuni negozi lungo la strada dice, "Guarda, oggi le insegne sono tutte con caratteri cinesi e invece prima, nel secolo scorso, erano in italiano."

Inoltre Angelo ha aggiunto alla fine che "oggi ci sono 18 associazioni cinesi a Milano, ma il punto è che associazione vuole dire unirsi insieme, ma oggi sembra che associazioni voglia dire dividere invece che unirsi", il che mi rimanda alle immagini dell'inizio del film tipiche da film giallo.

La storia è presentata tramite cartoni animati. Un giovane racconta il motivo per cui si è recato dalla Cina in Italia. E' un ragazzo non molto istruito, è nato in un paesino nel Sud della Cina, dove si annoia, vuole perciò andare in città per imparare come lottare per vivere, cioè guadagnare soldi, la cosa più importante per lui. E' per questo motivo si è trasferito a Wenzhou, una città abbstanza ricca nel Sud e molto conosciuta in Italia dato che la maggior parte degli immigrati cinesi in Italia vengono da questa città. Ma le cose non sembrano facili per un ragazzo poco colto e istruito per mantenersi perchè non ha nessuna speccializzazione, inoltre nel frattempo, suo fratello in Italia è stato coinvolto in casini vari, per cui, lui vuole andare in Italia per aiutarlo. E nel 2008, quando arriva in Italia dopo una serie di problemi durante il viaggio, si rende subito conto che suo fratello, i suoi amici e anche lui stesso sono tutti degli immigrati illegali, allora capisce che tutto gli sembra diverso da ciò che aveva immaginato. Non c'è permesso di soggiorno, nè visto, quasi tutti i cinesi che conosce sono così. E c'è un bar internet cinese che è considerato un rifugio per loro, lì non fanno niente tranne che giocare ai video game e scopre poi che i suoi amici cinesi sono immischiati in attività come rapine e...perfino ammazzano i loro compagni concittadini solo per qualche soldo.

Nel capitolo VI intitolato "An informer", questo ragazzo collabora con gli agenti di polizia per investigare su un caso di omicidio. Dopo di che, per la sua collaborazione, questo agente lo aiuta a trovare un'associazione di assistenza sociale, per aiutarlo a ricostruire la fiducia nel vivere in Italia. Alla fine lui capisce che sebbene ami suo fratello, non può sempre tutelarlo a qualsiasi condizione. Questo ragazzo è un rappresentante esemplare dei cinesi a Milano e in Italia, quindi il documentario, a questo punto, spiega bene come un ragazzo poco istruito come lui si è trovato una volta in Italia. Le sue condizioni rispecchiano quelle di altri cinesi cladenstini.

E nel capitolo IX intitolato " A child in danger", vediamo l'Ospedale Buzzi, dove sono nati quasi tutti i bambini cinesi a Milano. Rispetto a quel ragazzo di cui abbiamo parlato, questi bambini che sono nati lì acquiscono la cittadinanza italiana una volta venuti al mondo. Nella galleria dell'ospedale, vediamo che i genitori cinesi si scambiano le idee sul futuro per i bambini. La maggior parte di loro vuole allevare i bimbi in Italia e non sono più abituati all'ambiente cinese, non perchè non hanno nostalgia per la patria, solo perchè non riescono a seguire il rapido sviluppo della Cina a causa della loro mancanza di istruzione, mentre in italia possono mantenersi con lavori non intellettuali ma piuttosto fisici.

Nel documentario un docente di una scuola ha detto che "A dire la verità la citta di Milano è una citta razzista, sopratutto contro i cinesi. Quelli che emigrano non sono i cinesi più colti e istruiti, e questo fa sì che i cinesi in Italia vengano considerati come persone maleducate e sporche, che sputano per terra, insomma un po' come i Calabresi che negli anni 60 si trasferivano al Nord alla Fiat, e non parlavano neanche italiano". Invece i cittadini italiani d'origine cinese, come si trovano? Loro non hanno nessun problemi con la lingua italiana, addirittura a volte parlano più scorrevolmente l'italiano che il cinese. Nel documentario al capitolo XII intitolato "A little kid who won't grass", la ginnasta Mao Yufei è un rappresentate esemplare di questo tipo di situazione, quando le è stato chiesto se è una italiana o una cinese, questa ragazza dice che non sa niente circa la Cina, parla solo cinese e capisce meglio la lingua italiana e si sente più sicura in Italia. Non ha nessun interesse per la sua patria e la Grande Muraglia nella sua mente sarebbe un "grande muro" e nient'altro.

Nella scuola "Casa del Sole" a Milano, una docente che insegna lingua e storia cinese ai piccoli italiani di origine cinese, i quali trovano tante difficoltà nel parlare il cinese mandarino perchè i loro genitori parlano solo in dialetto.

In un'altra scena, un attore del teatro Shi Yang, di cittadinanza italiana cerca di cantare l'inno nazionale cinese ma ricorda solo la metà delle parole e quando parla di sè, prima ha detto per sbaglio di essere un cittadino cinese, e poi ha fatto una risata e si è corretto, ma, sul suo volto, si può vedere la confusione con cui chiede a se stesso: che cosa è la Cina, che significa la Cina....comunque, una serie di domande crica l'origine, identità e il riconoscimento.

Nel capitolo IV intitolato "A motive", alcuni ragazzi cinesi che sono in Italia da tanti anni si scambiano opinioni sulla loro vita e sugli italiani. Un ragazzo che si chiama Lin jie parla delle sue difficoltà incontrate appena arrivato in Italia, volta in cui inoltre ha visto per la prima volta i suoi genitori dato che prima abitava con i suoi nonni in Cina. Parlando degli italiani, questi ragazzi riconoscono che fra gli adulti cinesi esiste un pregiudizio sugli italiani, per loro gli italiani sono pigri e non vogliono lavorare, quindi i genitori chiedono ai loro figli cinesi di stare sempre insieme a loro per aiutarli e vietano loro di seguire i loro amici italiani che, nel loro pregiuzio tradizionale, "sono sempre in giro", e dicono ai loro figli cinesi "se resti con loro, ti influenzeranno male"

Quindi tra i gruppi di adolescenti italiani e cinesi, esistono anche gli ostacoli per l'integrazione. E dall'altro lato, esiste un malinteso verso i cinesi da parte italiana. Nell'ambiente della società cinese, è normale che si lavora volentieri con un po' di fatica, solo per vivere meglio. Ma gli italiani non ci credono e qualche volta esagerano. Nella lingua cinese, lo spirito di "chi ku" è un'espressione positiva che indica una persistenza o una capacità di sopportare per raggiungere la felicità, ma negli occhi degli italiani, quasi tutti i cinesi lavorano dalla mattina fino alla notte, quindi davvero troppo

Si tratta di una diversa concezione del lavoro, diversa tra due paesi completamente diversi. Nel documentario c'è una scena in cui una coppia, Yin Fang e Yin Rui stanno telefonando a loro figlio di cinque o sei anni in Cina, in quella scena si percepisce la grande forza di sopportazione e di resistenza di fronte alle avversità da parte dei cinesi nella loro strada per inseguire un futuro più bello.

Nel documentario, in quasi ogni capitolo si legge l'esistenza di una speranza, una fiducia nel futuro accompagnato da un po' di malinconia per il proprio paese e a volte da disperazione. Nel secondo capitolo il regista ci presenta una ragazza di oltre 20 anni che si reca in Italia per imparare l'opera lirica. Abita con suo marito Davide anche lui cinese. Il sogno più grande di questa ragazza è poter cantare l'opera lirica al Duomo di Milano o al Musikverein di Vienna. Sebbene attualmente la coppia si mantiene ancora con fatica e quello che immaginano sia diverso dalla relatà, tuttavia non abbandonano i loro sogni originari. Una situazione simile la si vede in un laboratorio con pessime consizioni nel film, dove lavora e abita una coppia cinese che ha un figlio di cinque o sei anni. Il marito vuole restare in Italia e comprarvi una casa dopo aver guadagnato abbastanza soldi, inoltre sta aspettando un'amnistia che non sa quando riceverà, per ottenere il permesso di soggiorno permanente e restare legalmente in Italia, e anche se non otterrà tutto ciò, sua moglie vuole avere un'altro figlio nonostante non ci siano le condizioni economiche per sfamare un'altra "bocca".

Nell'ultima parte del documentario, il ragazzo Shi Yang, che è un attore professionale ed è omosesuale chiede a sua mamma come considera il fatto che lui sia gay. Sua madre che è stata in Italia per 20 anni crede che suo figlio ha il diritto di scegliere la sua vita, mentre suo padre, un anziano tradizionale cinese è fortemente contrario e sottolinea più volte che i comportamenti di suo figlio rappresentano un paese, cioè la Cina, e l'omosessualità vuole dire perdere la faccia. Perdere la faccia diciamo in cinese è "Mianzi", una parola frequentamente usata dai cinesi, soprattutto al Sud della Cina. Per esempio, per uno studente universitario, lavorare in un ristorante è una cosa per cui si perde la faccia. Per i cinesi, la faccia è una cosa molto importante. E' una parte cruciale nella cultura sociale della comunità cinese che gli italiani non capiscono in molte occasioni.

Nel suo documentario, un'artista che si chiama Ho Kan è emigrato da giovane in Europa. Secondo lui e i suoi allievi cinesi, l'incontro tra la cultura italiana e cinese dà vita ad un mix interessante, ed è una bella cosa crescere tra le due culture, perchè in un certo senso chi cresce cosi è ricco doppiamente. Il mondo migliora grazie a questo tipo di mix.

Insomma, da una parte l'incontro tra culture diverse non può che arricchirci personalmente, socialmente anche professionalmente se si lavora in un contesto culturale diverso. Dall'altro però si chiede sempre se l'integrazione tra popoli diversi esite o esisterà mai per davvero...e sono un po'scettica, perchè dopo tutto anche quando avviene un mix le 2 parti, le 2 culture coinvolte nel mix sussistono separatamente non so fino a che punto si amalghimino tra di loro. Quindi questa sensazione, difficile da spiegare a parole ma che solo chi ha vissuto un'esperienza del genere conosce, a volte lascia un po' di amaro in bocca come dire. La sensazione che non si sappia più quale sia la propria patria o dove sia la propria famiglia e la propria vita, la sensazione in fondo di sentirsi un po' persi tra strade diverse simbolicamente rappresentate dalle culture diverse che si mischiano in noi.

 

 

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