Si tratta della prima volta che un autore cinese vince questo premio. Diciamo che anche nel 2010 abbiamo trovato un nome cinese tra i vincitori del Nobel, parlo di Gao Xingjian che, però, ha trasferito la sua nazionalità da cinese a francese. Quindi possiamo immaginare la gioia della popolazione cinese che, dopo anni, ha assistito alla vittoria di un premio Nobel per la letteratura "completamente" cinese.
Dopo aver ricevuto la notizia della vittoria del Nobel, Mo Yan si è mostrato entusiasta, ma non troppo. Secondo lui, in Cina ci sono molti altri scrittori eccelenti e, da scrittore ha anteposto alla vittoria di un premio, l'importanza data alla realizzazione di un capolavoro. Egli così ha detto:
"Non penso che vincere il premio rappresenti qualcosa di rilevante, infondo è solo un premio. Questo non implica il fatto che io sia lo scrittore migliore di tutta la Cina. So molto bene che in Cina ci sono molti scittori e un gruppo di questi sono degli ottimi scrittori, qualificati a vincere il premio Nobel. Sono molto fortunato ad aver ricevuto questo premio ma voglio rimanere con i piedi per terra; per uno scrittore, la cosa più importante è scrivere un capolavoro, non vincere un premio. Ciò che rende uno scrittore fermo e stabile sono il legame con la realtà, l'amore per la terra e, ancora più importante un atteggiamento sicuro, diligente e leale nei confronti della scrittura."
Giorni dopo la notizia sulla vittoria del Nobel, abbiamo intervistato una delle principali traduttrici dei libri di Mo Yan, Patrizia Liberati, responsabile degli affari di editoria dell'Istituto di Cultura Italiana di Pechino. Patrizia Liberati è una delle principali traduttrici delle opere di Mo Yan, di quest'ultimo ha tradotto "il supplizio del legno di sandalo", "cambiamenti" e "le sei rincarnazioni di Ximen nao", e ora si sta occupando del famoso "Le rane", l'opera che ha permesso a Mo Yan di ottenere il premio Maodun dall'Associazione degli scrittori cinesi nel 2011. Cosa ha provato alla notizia della vittoria da parte dell'autore:
"Ero sicura che prima o poi glielo avrebbero dato, però, evidentemente, così presto non me lo aspettavo. La cosa mi ha emozionato tantissimo, mi sono dispiaciute un po' le polemiche che sono nate subito dopo e il fatto che (questo chiaramente in Cina) e anche un po' all'estero da parte di persone che non erano d'accordo con la decisione del comitato del Nobel. "
Ci sono sempre polemiche in questi casi perché, ovviamente, qualcuno pensa che qualcun altro dovrebbe prendere il premio; però quello che mi ha un po' addolorato è stato il fatto che tutte le polemiche non entravano nel merito del valore letterario di quello che scriveva Mo Yan, ma erano esterne e basate sulla politica. Quindi a un certo punto c'è stato un gran fracasso di tante voci che tra l'altro non erano la sua, perché Mo Yan, che è un grand'uomo, come dice il suo nome, è diventato silenzioso e se ne è tornato a Gaomi. Quindi per una settimana lui, praticamente, non ha parlato con nessuno, non ha rilasciato nessuna intervista (noi lo abbiamo cercato varie volte perché c'erano varie testate di giornali italiani che volevano parlare con lui, fare interviste e lui non rispondeva). E' evidente che una voce così, che non è d'accordo con la decisione può dire che non rispondeva perché non sa che cosa dire, lo dovevano preparare ecc. A me ha colpito molto questa cosa, il fatto che lui non abbia detto nulla, si sia tenuto fuori da tutto il grande clamore che c'era riguardo al Nobel e che poi è uscito con una conferenza stampa e ha fatto le sue dichiarazioni.
Possiamo dire, quindi, che Mo Yan è un personaggio di basso profilo. E' una persona comune e quando gli è arrivata una notizia così importante, sebbene apparentemente sia rimasto tranquilissimo, dentro di lui qualcosa si è sicuramente smosso. Per lui è stato un traguardo importantissimo, per la Cina è stato un traguardo importantissimo; su tutti i giornali, tutti i giorni, in televisione ci sono continuamente interviste o articoli su di lui. Una vittoria che, probabilmente, ha in qualche modo influito sulle conoscenze e le amicizie dell'autore. Infatti, come ci ha detto Patrizia Liberati durante l'intervista, Mo Yan nelle sue dichiarazioni, ha anche parlato di come, una cosa come un premio internazionale, ti faccia capire il vero valore delle persone che hai intorno; per cui lui probabilmente si è reso conto di avere amici e nemici dal modo in cui essi hanno reagito alla notizia. Secondo Liberati lui è rimasto anche un po' addolorato da questa cosa.
Però Mo Yan è una persona molto umile, una volta ha appresa la notizia, non si è dimenticato di ringraziare i suoi traduttori. Sentiamo cosa ci ha detto Patrizia Liberati al riguardo:
"Io devo dire che una cosa che mi ha fatto moltissimo piacere è che dopo due giorni che era stata annunciata la decisione, lui mi ha mandato un messaggio dicendomi (presumo lo abbia mandato a tutti gli interpreti, però io mi sono sentita come se lo avesse mandato solo a me), mi ha commosso il fatto che lui si è ricordato di scrivere a noi dicendo questo premio lo devo condividere con voi perché se voi non aveste tradotto le mie opere, io non lo avrei mai preso. Mi è sembrata una cosa molto molto molto carina. "
Si è parlato tanto del Premio Nobel. Ma andiamo oltre il recente premio che gli è stato assegnato. Vediamo, chi è Mo Yan? Per cominciare vi introduciamo un brano di un articolo rilasciato l'11 ottobre su "La Repubblica", su come è cresciuto e, con questo capiremo meglio anche la sua letteratura:
"Mo Yan, considerato uno dei più importanti scrittori e sceneggiatori cinesi, ha alle spalle una vita di privazioni. Come tutti quelli della sua generazione - è nato nel 1955 nella provincia dello Shandong - con la rivoluzione culturale ha dovuto interrompere gli studi per dedicarsi al lavoro manuale. Ha fatto il guardiano di mucche e pecore e per fuggire alla solitudine e alla fatica si è rifugiato nella fantasia. In seguito, dopo avere lavorato in una manifattura di cotone, si è arruolato nell'Esercito di Liberazione Popolare e, mentre era ancora un soldato, ha cominciato a seguire la sua vocazione di scrittore, tanto da guadagnarsi un posto di insegnate nell'Accademia Culturale dell'esercito. È diventato così uno degli scrittori più amati in patria, pubblicato in Italia da Einaudi, autore di storie reali e magiche che lo hanno fatto paragonare a Garcia Marquez e anche a William Faulkner."
Da molti anni, la serie di opere di Mo Yan si concentra sul suo luogo natio- una zona rurale chiamata Gao Mi, nel nordest della Cina, un villagio pieno di stranezze, dolore e semplicità. Il suo romanzo "Ravanello trasparente" che lo ha reso famoso e "Sorgo rosso", trasformato in pellicola dal noto regista Zhang Yimou, lo hanno lanciato sulla scena nazionale e internazionale. Mo Yan ha detto:
" In realtà nel corso della stesura del romanzo, devo mettere in moto tutti i miei sensi. All'inizio tutto è inconscio, se scrivo di un albero non solo descrivo la forma, penso anche all'odore emesso dal tronco, vedo il cambiamento dei colore dell'albero sotto la luce del sole e nel corso dell'alternarsi delle stagioni. Vedo l'albero, sento il suo odore, addirittura gusto il sapore delle sue foglie."
Tra le sue opere più importanti, oltre a Sorgo Rosso, ambientato nella Cina rurale degli anni Venti, ricordiamo "Il Supplizio del legno di sandalo" (nel 2005 premio Nonino per la letteratura internazionale) e il colossale "Grande seno, fianchi larghi": un diluvio di parole, cento personaggi da seguire nell'arco di oltre mezzo secolo, dalla società feudale degli anni Trenta al capitalismo di stato di oggi, passando attraverso i rivolgimenti dell'era maoista. Ed anche "le sei rincarnazioni di Ximen nao". In questo romanzo, Mo Yan ha reso il suo omaggio alla tradizione dei romanzi tradizionali e ai racconti folkloristici cinesi. Tramite il romanzo, si riflette la metempsicosi nel concetto tradizionale del popolo cinese attraverso il processo di "nascita e morte". Il protagonista, attraverso le trasformazioni in esseri umani e animali e riesce ad osservare e pensare alla terra, mondo e destino sotto i diversi punti di vista. Nell'opera, Mo Yan dà uno spaccato della qualità dei contadini cinesi.
Intanto, i lettori italiani possono prepararsi per "wa", "le rane", in uscita nel 2013. L'opera, che gli fatto vincere il premio di Mao Dun nel 2011, il premio più autorevole nell'ambito della letteratura in Cina, tratta della politica del figlio unico. Nell'intervista, Patrizia Liberati ci ha dato, in anteprima sul libro:
"Per quanto riguarda "La rane" ci sono delle informazioni che io ho dovuto ottenere e delle ricerche che ho dovuto fare. Più che altro riguarda la politica della programmazione delle nascite in Cina, le problematiche del passaggio da un periodo in cui "più siamo e meglio stiamo" a "ops siamo troppi cominciamo a controllarci". C'è questa figura della zia, la zia del protagonista, che è una donna che è passata dall'essere la dea Guan yin, donatrice e rappresentante della fertilità, al demone della morte che deve interrompere le gravidanze fuori piano. Questo personaggio ha la caratteristica di essere ligio al dovere, serio, imperioso e autoritario e crudele nell'intervenire sulle gravidanze illegali, quanto prima era stato magnanimo e felice di accogliere una nuova vita fino al momento in cui era quello il suo dovere; quindi una persona che è ligia al dovere e non si pone, fino a un certo punto, nessuna domanda, gli viene detto di fare una cosa e la fa nel modo migliore possibile, perché comunque è una donna del partito. Finito questo periodo cominciano i dubbi, i dubbi che poi sono i dubbi quotidiani di una società che è stata, o di un sistema che è stato socialista fino a ieri ma che adesso è diventato capitalista in stile cinese, nessuno lo sa bene, e quindi siamo in una situazione in cui ci sono dubbi. La gente nel libro comincia a chiedersi perché poi, infondo quando sarebbe bastato pagare una multa, uccidere tutti questi bambini. Nel momento in cui adesso, tutto sommato, non ha questa grande importanza, o comunque non è più una grande priorità.
Per cui c'è tutto questo passaggio, questa donna che alla fine si ritrova con le mani sporche di sangue, in una situazione in cui in realtà, forse, avrebbe potuto fare altre scelte. Sposa un uomo che fa delle figurine di creta, che sono fatte ad immagine di tutti i bambini che sono nati e che sono morti nel villaggio e nelle zone circostanti, quindi lei diventa una specie di madre putativa di questi bambini e vive con questo artigiano e poi, attraverso una serie di altre peripezie, aiuta anche la moglie del protagonista ad avere un bambino suo. Quindi c'è una specie di riscatto attraverso, anche una specie di pentimento, quasi cattolica in un certo senso, per quello che è successo e il tentativo di mettere le cose apposto, perché nel frattempo, la prima moglie del protagonista è morta di parto, cioè è morta per un aborto perché era in una gravidanza troppo avanzata, quindi lei è anche, tutto sommato, colpevole di aver ucciso donne oltre ai bambini. E quindi, diciamo così, è un po' il pensiero dello scrittore stesso, che, per esempio, mi ha raccontato che per fare carriera è stato anche lui costretto a far abortire sua moglie varie volte e adesso si è chiesto, nella situazione attuale, se infondo valeva la pena fare quello che ha fatto, perché adesso lui è uno scrittore, non è più militare, non ha più una carriera; forse avrebbe potuto lasciare.
Diciamo così, una specie di pentimento anche da parte dello stesso Mo Yan e di dolore nel raccontare quello che è stato un po' il sacrificio di questo Paese che ha ucciso tanti bambini e donne per controllare le nascite e anche, come dire, a nome del mondo, per l'umanità, o comunque questo è quello, il motivo che viene portato avanti nella storia. E' abbastanza interessante, dal punto di vista linguistico è probabilmente meno difficile del primo libro che ho tradotto, del "Supplizio del legno di sandalo"; però è molto interessante perché è anche un po' una storia vissuta dallo scrittore stesso."
L'Accademia reale svedese, nel corso della cerimonia di premiazione del Nobel ha così spiegato la ragione per cui ha designato Mo Yan come vincitore del premio: "Per il suo realismo magico che mescola racconti popolari, storia e contemporaneità".
Abbiamo chiesto a Patrizia Liberati, vissuta in diretto contatto con il testo originale delle opere di Moyan e, di conseguenza, con il pensiero che ne deriva, quale è stato il principale fattore che, secondo lei, ha contribuito alla vittoria del prestigioso premio. .
"Quello che io penso dal punto di vista della produzione letteraria di Mo Yan (questa è una cosa che abbiamo discusso l'ultima volta c'è stato un convegno di traduttori organizzato dall'Associazione degli scrittori cinesi; io ho fatto un intervento su quello io penso sia importante nella politica di diffusione della cultura cinese nel mondo che adesso è una delle cose che stanno raggiungendo un po' tutti attraverso le varie istituzioni e oltretutto il governo ci tiene molto e sta spendendo tantissimi soldi per fare una serie di attività), la letteratura di Mo Yan, come quella che io penso sia da premiare per ogni Nobel, ha un aspetto, deve entrare con tutti gli onori nella piattaforma della letteratura mondiale, e questo secondo me perché lui parla di storie, racconta di storie, parla di persone e ha tutta una serie di componenti comuni; quindi quello che lui dice del popolo cinese, lo dice in maniera tale da poter commuovere, impressionare, divertire, stupire chiunque e questo succede perché ci sono degli elementi comuni. Quando lui parla di un uomo, lui è in realtà l'uomo con la "U" maiuscola, cioè l'uomo che siamo tutti, per cui questo è secondo me che è premiabile e va premiato.
E' evidentemente molto cinese, è una letteratura nazionale ma è nazionale e allo stesso tempo mondiale, è condivisibile da tutti. Queste secondo me sono le componenti diciamo, per lo meno dei libri che io ho tradotto. C'è la violenza che è di tutti, c'è l'amore che è di tutti, ci sono le relazioni con la famiglia di tutti, ci sono i dolori di tutti; quindi lui ne parla dal punto di vista dei cinesi, ma in realtà è tutti noi, questo chiaramente un po' dipende dal lavoro, dalla conoscenza, da quanto le persone siano abituate a leggere letteratura, diciamo così, internazionale in traduzione, opere di altri paesi.
Io sono convinta che il motivo per cui Mo Yan piace è perché scatena nel lettore delle reazioni che lo fanno sentire parte di una grande panoramica, lo fanno entrare, attraverso il grande portone, in questo paese, ma poi riscopre con sorpresa e anche con molto piacere che siamo tutti uguali. Quindi secondo me questo è quello che dovevano premiare, spero sia stato quello il motivo. Questo è quello che penso io e che ho sempre pensato."
Molti critici considerano Moyan come un esponente della corrente letteraria cinese della "ricerca delle radici"; ci siamo domandati se la Cina, sullo sfondo della rapida crescita che la sta investendo, abbia perso, e quindi abbia bisogno di ritrovare le proprie origini e tradizioni, in questo contesto Mo Yan può, senza alcun dubbio, dare il suo contributo.
Secondo Patrizia Liberati, tutti hanno bisogno di cercare delle radici e loro in realtà stanno ricreando alcune cose che per parecchio tempo hanno lasciato da parte; quindi è come se stessero ricreando una loro identità che non è un'identità come quella che come fino a poco tempo fa' era decisa e stabilita dal partito comunista, quindi degli ideali e delle direttive e un modo di essere che in un certo senso era stato sovraimposto a quella che era la cultura contadina e il modo di vivere cinese.
"L'altro giorno sono andata alla presentazione di un libro molto interessante su "cento testi di opere di Pechino" tradotti in inglese con una veste letteraria bellissima fatta da Beiwai e Renmin daxue. C'era un professore che ha fatto un suo intervento e ha detto una cosa, che secondo me è abbastanza interessante, in quanto il nome in inglese dell'opera si chiama "cento lavori in traduzione della Peking opera"; e lui ha detto: ma se noi per esempio parliamo del teatro giapponese, non lo chiamiamo l'opera giapponese, lo chiamiamo il kabuki, quindi sarebbe ora che noi cominciassimo a chiamare l'opera di Pechino Jingju, questo è il suo nome; il nome che conoscono tutti perché sempre stiamo usando Peking opera, Opera di Pechino, perché Opera di Pechino? Nessuno lo chiama opera di Pechino, il suo nome è Jingju, perché quello già rivela il fatto che è comunque passato attraverso la valutazione di qualcun altro.
Quindi secondo me, quello loro stanno facendo, loro ce ne hanno bisogno, perché adesso, per un periodo c'era l'imitazione dell'occidente, poi c'è stata l'imitazione del Giappone, della Corea dal punto di vista delle mode, anche i ragazzi nel modo in cui si vestono. Però in realtà, qual è per esempio l'abito tradizionale cinese? Quello del mandarino? Il Zhongshangfu con le quattro tasche? Tutto questo è soggetto ad una rivalutazione. Noi nell'occidente siamo stati più fortunati perché non siamo stati costretti ad interrompere questa evoluzione. Loro con grande coraggio, con grande forza sono riusciti a passare attraverso tantissime vicissitudini ma spesso sono stati costretti a interrompere e queste interruzioni hanno probabilmente provocato anche, a volte, una forma di schizofrenia, quindi è giusto che, attraverso scrittori come Mo Yan e anche altri scrittori come Su Tong, come Liu Heng, tutti coloro che siano bravi a raccontare storie, raccontino le storie che poi possono aiutare il popolo cinese a ricrearsi una sua, propria, identità che non sia qualcosa che gli altri pensano che lui è, ma qualcosa di veramente proprio."
Dall'inizio del secolo scorso ad oggi, nella lista dei vincitori del premio Nobel alla letteratura, figurano spesso autori occidentali. Da qualche anno a questa parte sono cominciati ad emergere scrittori provenienti da Cina, Giappone ed India. Per la Cina, è una grande notizia, vuole dire che la letteratura cinese è stata finalmente riconosciuta dei suoi meriti. Ma, sotto un punto di vista più ampio, parlando dell'Asia, che significato ha avuto la vittoria di Mo Yan? Vediamo le parole di Patrizia Liberati
"E' importantissimo perché attirerà l'attenzione e attirato l'attenzione degli occidentali sulla produzione letteraria asiatica. Il problema è, semplicemente, che queste cose vanno tradotte di più perché il comitato del Nobel non può valutare libri e opere di cose che non sono state tradotte, non si può pretendere che loro conoscano tutte le lingue del mondo, quindi dovremmo tradurre di più.
Il nostro compito è molto pesante, ti senti quasi responsabile perché se una cosa non è stata tradotta non esiste nel panorama occidentale.
Io credo che i membri del comitato del Nobel leggano traduzioni in tutte le lingue, per lo meno occidentali. Quindi quando hanno deciso di dare il premio a Mo Yan avranno letto la versione in inglese, la versione in francese, la versione in tedesco oltre a quella, chiaramente, in svedese.
Più si traduce meglio è, probabilmente ci saranno degli splendidi autori vietnamiti, cambogiani però non lo sa nessuno, perché non sono ancora stati tradotti. Secondo me bisognerebbe tradurre sempre di più e sempre meglio. "
Inoltre c'è da aggiungere che la maggior parte delle opere di Mo Yan rientrano in una categoria, per così dire, di letteratura "seria" che non ha facile presa sui giovani cinesi. Possiamo quindi dire che il riconoscimento del Nobel, un premio così autorevole, ha fatto appello, in un certo senso, ad un ritorno di questo tipo di letteratura nel mondo dei giovani.
Cai Hui, direttore della pagina di cultura del Giornale della Mattina di Pechino ha indicato che la vittoria di Mo Yan potrà promuovere lo sviluppo della letteratura seria cinese, offrendo maggiori opportunità ai i giovani scrittori.
"Mo Yan è uno dei rappresentanti della nuova epoca della letteratura, quella nei dieci anni successivi alla rivoluzione culturale cinese. Lo stile dei suoi romanzi è influenzato dalla letteratura latina e dal flusso di coscienza, per cui possiamo dire che si tratta di un riconoscimento ritardo al coraggio di quel epoca per l'apertura, dell'apprendimento della cultura occidentale avanzata e del rovescio di se stesso. Secondo me, la sua vittoria ha due significati, primo, ha soddisfatto il nostro esagerato desiderio di ottenere un Nobel; secondo, la gente ha iniziato a riesaminare la letteratura pura, facendo sì che molti editori e decisionisti ne prestino una maggiore attenzione, offrendo, in particolare, nuove opportunità ai giovani nello stesso settore.".
Secondo Patrizia Liberati, in una situazione in cui tutto si trasmette in un'incredibile velocità, sembra quasi che le persone, i giovani ma anche le persone più grandi abbiano uno spazio di concentrazione, che diventa sempre più breve e quello che importa è la reazione, non ci si ferma a riflettere, si deve immediatamente esternare, reagire, trasmettere agli altri quello che si prova. Invece la caratteristica della lettura è proprio quella di fermarsi a riflettere su quello che si legge, tutto ad un ritmo molto più lento.
Patrizia Liberati, venuta spesso in contatto diretto con Mo Yan, a cui abbiamo chiesto che impressione le ha dato.
"Io gli voglio molto bene, lo trovo un gentiluomo semplice, gentile, una persona cortesissima, con cui però riesci ad essere molto a tuo agio, anche se lui è un grande scrittore.
E una persona che mi piace anche, non solo come scrittore, lo trovo una persona molto interessante.
Lui non parla molto, è una persona che parla quando ha qualcosa da dire e non è quello che succede spesso; tanta gente parla ma non ha molto da dire."
Infatti, Mo Yan, nella sua modestia, considera se stesso come una persona debole e afferma che molti personaggi nei suoi romanzi rappresentano la sua ombra. Allo stesso tempo, egli ha cercato di modellare i personaggi che hanno coraggio in modo da esprimere se stessi e farli aderire alla propria personalità. Egli così ha detto:
"Il difetto del personaggio nel romanzo "Grande seno, fianchi larghi", Shangguan Jingtong è la vigliaccheria, questa è la mia autobiografia spirituale. Ma ho anche creato alcuni uomini coraggiosi nel romanzo "Sorgo rosso" come il personaggio Yu Zhan Ao; egli rappresenta ciò che manca in me. Io conosco la debolezza, è un mio difetto, in molti casi non ho il coraggio di persistere su me stesso. Quindi nei miei molti romanzi, compaiono personaggi che osano ad esprimersi e proseguire nel loro cammino."
Parliamo ora del linguaggio letterario di Mo Yan. E' un linguaggio forte, crudo, inserito in una cornice contadina.I romanzi di Moyan possono essere inquadrati nella "letteratura contadina", la lingua utilizzata è di conseguenza ben distante da quella, come dire, urbana. Quindi è chiaro che, nell'ambito della traduzione, si presentano una serie di difficoltà nel passaggio dalla lingua di partenza alla lingua di arrivo. Vediamo cosa ci dice Patrizia Liberati al riguardo.
"Infondo il libro è il suo bambino, tu lo stai adottando per presentarlo a qualcun altro, è tuo dovere chiedere a lui qualsiasi cosa se non capisci; cioè se non lo chiedi a lui, che fai? Tagli oppure interpreti, però, forse nel modo sbagliato. Tradurre dal cinese ti insegna molta umiltà perché è proprio un verificare te stesso tutti i giorni e stare tutti i giorni non con un dizionario ma più dizionari sempre intorno e poi chiedere a chi ha scritto per entrare nella sua testa, che è una delle cose probabilmente più affascinanti del lavoro di traduttore."
Patrizia Liberati ci ha inoltre illustrato il suo metodo di traduzione, dal primo approccio all'opera completamente tradotta.
"La prima lettura, una lettura che mi fa capire se mi piace il libro oppure no, perché una delle cose importanti quando traduci è che ti piaccia quello che stai traducendo.
Poi la seconda lettura più approfondita e una prima bozza, in una lingua che non è italiano, una lingua che è un tentativo di riprodurre quello che c'è scritto in cinese.
Poi c'è una seconda bozza, poi c'è finalmente il distaccarsi dal cinese e rileggere questa cosa come fosse stata scritta in italiano."