Martedì 6 agosto, il Dipartimento al Tesoro degli Stati Uniti ha inserito la Cina tra i "manipolatori del tasso di cambio". Il vice governatore della Banca centrale cinese-la Banca popolare cinese-ha dichiarato durante un'intervista esclusiva a China Media Group che l'elencazione della Cina tra i "manipolatori della valuta" da parte del Dipartimento al Tesoro degli Stati Uniti è un comportamento unilaterale e protezionistico, che viola gravemente le normative internazionali e che avrà un impatto notevole sull'economia e sulla finanza globali.
Il vice governatore della Banca centrale cinese Chen Yulu ha espresso ferma opposizione alla mossa degli Stati Uniti.
"È del tutto sbagliato per il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti elencare la Cina come 'manipolatore del tasso di cambio'. Ciò non è in linea con il buonsenso economico di base e con il consenso della comunità internazionale, o persino con gli standard della cosiddetta "manipolazione del tasso di cambio" formulati dallo stesso Dipartimento al Tesoro degli Stati Uniti, quindi ne siamo fermamente contrari. "
Chen Yulu ha sottolineato che la Cina è un grande Paese responsabile, che non ha mai effettuato una svalutazione competitiva della valuta né mai utilizzato il tasso di cambio come strumento competitivo.
"Che si tratti della crisi finanziaria asiatica del 1997 o della crisi finanziaria internazionale del 2008, la Cina ha promesso responsabilmente di mantenere stabile il tasso di cambio del RMB, realizzando un grande contributo per la ripresa economica globale e la stabilità del mercato finanziario internazionale. In effetti, dopo la riforma del tasso di cambio nel 2015 in Cina, il tasso di cambio effettivo nominale e il tasso di cambio effettivo reale del RMB non solo non si sono deprezzati, ma hanno anche avuto un apprezzamento cumulativo di circa il 40%, portando il tasso di eccedenza della bilancia dei pagamenti/GDP ad avere un calo incisivo dal 9,2% all'attuale 0,4%."
Chen Yulu ha affermato che dall'inizio del mese di agosto il tasso di cambio del RMB ha realizzato un certo deprezzamento, il che costituisce la fluttuazione del mercato causata dai cambiamenti nella situazione economica globale e dall'intensificarsi degli attriti economici e commerciali, guidata e determinata dalle forze di mercato e non avente nulla a che fare con la cosiddetta "manipolazione del tasso di cambio".
"Dal 2018, le controversie commerciali provocate dagli Stati Uniti hanno innescato ripetutamente grandi fluttuazioni nei mercati finanziari globali, e scatenato al contempo anche turbolenze nei mercati finanziari statunitensi e instabilità dell'indice del dollaro USA. Pertanto, speriamo che gli USA ricorrano poco al fare tali cose che danneggiano i propri e altrui interessi. Auspichiamo anche che la parte americana possa rispettare i fatti oggettivi, e risolvere le questioni economiche e commerciali sino-americane in modo più razionale e pragmatico, senza addentrarsi ulteriormente lunga la strada sbagliata ".
All'annuncio di tale decisione, è seguita l'opposizione dell'ex segretario al Tesoro USA Lawrence Summers e di alcuni economisti americani, i quali hanno affermato che non ci sono prove a conferma del fatto che la Cina "abbia manipolato il tasso di cambio".
Martedì 6 agosto Lawrence Summers ha pubblicato un articolo firmato sul Washington Post, in cui ha denunciato tale condotta del Dipartimento al Tesoro Usa, sottolineando che, a giudicare da diversi fattori, come l'esistenza o meno di interferenze nel mercato del cambio, la Cina non è affatto conforme agli standard di "manipolatore della valuta" riconosciuti generalmente dalla comunità internazionale. L'elencazione della Cina senza alcun riguardo di fatti e norme danneggerà la credibilità del segretario al Tesoro americano Steven Mnuchin e del Dipartimento al Tesoro USA, e non otterrà il riconoscimento della comunità internazionale. Quanto accaduto ha destato grande attenzione tra i media statunitensi.
Secondo quanto riportato dal Los Angeles Times, la Cina non è affatto conforme ai tre standard del Dipartimento al Tesoro americano in base a cui viene definito un "Paese manipolatore del tasso di cambio". Infatti, lo scorso maggio, il Dipartimento al Tesoro Usa aveva rilasciato un rapporto, secondo il quale la Cina corrispondeva soltanto a uno dei tre standard quantitativi, ossia quello relativo al surplus commerciale superiore a 20 miliardi di dollari l'anno nei confronti degli Usa. Nel rapporto non era espresso quindi alcun giudizio sull'eventuale manipolazione del tasso di cambio finalizzato a procurare dei vantaggi ingiusti per la competizione commerciale.