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Dopo aver applicato a partire dal 6 luglio scorso una tariffa del 25% su 34 miliardi di dollari di beni cinesi esportati negli Stati Uniti, martedì 7 agosto l'Ufficio di rappresentanza commerciale degli Usa ha reso pubblica una nuova lista di prodotti cinesi, del valore di 16 miliardi di dollari, su cui imporre una tariffa del 25%. I dazi entreranno ufficialmente in vigore il 23 agosto prossimo. Nella serata di oggi, il portavoce del Ministero del Commercio cinese ha dichiarato che gli Stati Uniti hanno posto ancora una volta le leggi nazionali al di sopra del diritto internazionale, giudicando tale modo di fare assolutamente irragionevole. Al fine di salvaguardare i propri diritti e interessi legittimi, come anche il sistema di commercio multilaterale, la Cina è stata costretta ad adottare le contromisure necessarie, stabilendo di imporre una tariffa del 25% su 16 miliardi di beni importati dagli Stati Uniti e di far entrare in vigore i dazi all'unisono con gli Usa.
La risposta cinese questa volta consta soltanto di un centinaio di parole, è breve, concisa e razionale. Si può vedere che dopo oltre quattro mesi di confronti, la Cina conosce fin troppo bene i mezzi di intimidazione utilizzati dagli Stati Uniti, e non è colta di sorpresa dalla costante pressione esercitata nei suoi confronti, è da lungo preparata. Dinanzi alla continua escalation della guerra commerciale causata dagli Usa, il principio propugnato dalla Cina è il seguente: "Non voglio combattere, non ho paura di combattere, devo combattere se necessario". Al contrario, la Cina continua ad intensificare con fermezza le riforme e l'apertura, svolgendo al meglio i propri affari. Naturalmente, non c'è bisogno di aggiungere altro.
Una delle ragioni per cui gli Stati Uniti hanno scatenato questa guerra commerciale è aiutare il settore manifatturiero a tornare negli Usa e creare più posti di lavoro per gli americani, agendo per il bene della "sicurezza nazionale statunitense". Tuttavia, i risultati effettivi riservano grandi soprese.
Consideriamo, ad esempio, la lista di prodotti cinesi esportati negli Usa del valore di 16 miliardi di dollari. Di recente, l'Ufficio di rappresentanza commerciale degli Stati Uniti ha tenuto un'udienza per discutere se imporre o meno i dazi doganali. In tale occasione, hanno preso parola 82 rappresentanti dell'industria chimica, dell'elettronica e del fotovoltaico degli Usa. Questi sono preoccupati che l'aumento delle tariffe doganali possa innalzare i costi industriali e causare la perdita di posti di lavoro, danneggiando alla fine l'economia statunitense, riducendo la competitività industriale degli Stati Uniti e causando persino la chiusura di alcune piccole o medie imprese. Alla fine, tra tutti gli 82 rappresentanti presenti, soltanto 6 hanno acconsentito all'aumento delle tariffe.
Per i funzionari del governo statunitense, l'aumento delle tariffe doganali non mira soltanto a frenare lo sviluppo della Cina e mantenere l'"America First", ma è anche legato a un'altra considerazione.
Proprio negli ultimi giorni, sono emerse negli Usa alcune cattive notizie.
Il 6 agosto, l'Element Electronics ha annunciato che fra due mesi chiuderà la sua fabbrica di televisori nella Carolina del Sud. In precedenza, la società aveva già tagliato diversi posti di lavoro, riducendoli a 126 dai 134 iniziali, in quanto l'"aumento delle tariffe doganali su alcuni prodotti importati dalla Cina, compresi i componenti principali dei televisori", da parte del governo statunitense, ha comportato un innalzamento dei costi aziendali. Dai dati diffusi dal Peterson Institute for International Economics emerge che se gli Usa imponessero dazi del 25% sulle automobili di tutto il mondo, circa 195 mila operai statunitensi perderebbero il lavoro nell'arco di uno o tre anni, e se gli altri Paesi adottassero contromisure, i disoccupati nell'intero Paese aumenterebbero a 624 mila.
Un'indagine pubblicata il 7 agosto dalla Federal Reserve Bank di Atlanta, negli Stati Uniti, rivela che le preoccupazioni generate a causa dei dazi doganali hanno costretto circa un quinto delle imprese statunitensi a rivalutare, rinviare o rinunciare ai loro piani di investimento. Questo organismo ha osservato che attualmente l'impatto negativo causato dagli attriti commerciali sulle imprese statunitensi si concentra principalmente sull'industria manifatturiera. Se la situazione dovesse aggravarsi ulteriormente, le ripercussioni negative sugli investimenti delle imprese statunitensi potrebbero continuare ad aumentare.
Dalla Coca-Cola ai Camper, dai giocattoli all'abbigliamento, nel mercato dei beni di consumo americano sta avanzando la "marea" dell'aumento dei prezzi sotto l'ombra della "sicurezza nazionale degli Stati Uniti". La Bank of America Merrill Lynch nel suo ultimo rapporto ha sottolineato che la politica commerciale del governo statunitense è una reiterazione delle cattive politiche adottate negli Usa negli anni '80. Come 30 anni fa, i consumatori americani saranno coloro che ci perderanno maggiormente dalla guerra commerciale.
A quanto pare, il mezzo di intimidazione delle tariffe del governo statunitense sta danneggiando gli stessi Stati Uniti e ferendo il popolo a cui vorrebbero essere dati benefici. Nella crescente ondata d'opposizione nei confronti dell'imposizione dei dazi, può il governo degli Stati Uniti fare qualcosa che è in linea con la volontà della gente?