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Huang Yongyu, pseudonimo "bue giallo", di etnia Tujia, nato nel
"Se quando ti imbatti per la prima volta in un ambiente e in una persona presagisci già il dolore della separazione, è chiaro che te ne sei innamorato..."
Così scrive nel suo diario di viaggio in Europa "Dal Lungo Senna a Firenze", cesellato dal suo pennello e dalla sua penna, il maestro Huang Yongyu, che al tempo aveva 67 anni. Dopo più di vent'anni, la versione italiana, pubblicata dalla casa editrice Artemide e tradotta da Chen Baoshun (già console generale cinese a Milano) e dalla sinologa Maria Omodeo, è stata presentata da poco all'Istituto di Cultura dell'Ambasciata d'Italia in Cina. In precedenza, il maestro è tornato più volte in Italia per incontrare i lettori italiani, dicendo commosso a Firenze, una città che ama profondamente: come vorrei ancora vivere per qualche anno in Italia, per descrivere la gioia degli italiani! Ma non ho più molto tempo, sono vecchio, e ho tante altre cose da fare.
Tra la primavera e l'estate del 1991, Huang Yongyu ha lasciato temporaneamente Hong Kong, dove viveva, per Parigi, dove dalla Senna ha raggiunto Firenze, descritta all'inizio del XX secolo dal poeta cinese Xu Zhimo, e si è stabilito non lontano dalla casa natale di Leonardo da Vinci. Questa terra traboccante di edifici medioevali e di dipinti classici non finiva di stupire l'anziano maestro. Dopo continui spostamenti per più della metà della sua vita, la sua prorompente vitalità si è espressa a piene mani fra i campi e i vicoli della romantica Italia, da cui era attratto e incuriosito, come un bambino che non ha ancora visto il mondo. Usciva al mattino con lo sgabello, il cavalletto e la tavolozza, e dipingeva per strada, spesso sino a sera. In nemmeno sei mesi, ha raggiunto il suo culmine artistico: quaranta dipinti ad olio, otto sculture e varie opere minori. Nel 2004, è stato insignito dall'allora Premier del Consiglio italiano Carlo Azeglio Ciampi della medaglia di Commendatore dell'Ordine della Stella della Solidarietà. Le opere di questo periodo presentano linee nette e curate e colori squillanti, che fanno pensare alla pittura occidentale. L'unica differenza è che il maestro usava la carta di riso Xuan e il pennello cinesi.
L'arte non ha confini. Sebbene non parli l'italiano, il maestro si è fatto moltissimi amici in Italia, di una fascia d'età dai due-tre anni ai novant'anni! A Vinci, i suoi vicini di casa sono come la sua famiglia, e ha amici alla bottega di antichi orologi, per strada, al bar e in trattoria. Il figlio e la figlia hanno iniziato la loro carriera in Italia. Nel libro, il maestro rievoca l'incertezza del figlio fra Parigi e Roma all'inizio dei suoi studi di arte, e il suo consiglio di scegliere Roma, perché a Parigi è facile distrarsi... La figlia commenta: Amedeo Modigliani, dopo gli studi Italia, fu costretto ad andare a Parigi per diventare un pittore di fama mondiale!
Un'emozione intensa e profonda: dalle righe dal libro emerge la passione per l'Italia del maestro, riconosciuta come la sua seconda patria.
Secondo Huang Yongyu, l'Italia è un paese affascinante: anche se lontana dalla Cina, la concezione di famiglia, il temperamento, i punti forti e le debolezze degli italiani sono molto simili a quelli dei cinesi, e il loro umorismo e ottimismo sono commoventi. La loro purezza e ingenuità hanno intriso di spontaneità la sua creazione artistica.
"Una volta, mentre ero seduto al caffè di fronte al Museo Nazionale di Arte Orientale di Roma, ho visto un tipo di mezz'età, grande e grosso, che passava per strada parlando al cellulare e rideva felice, dimentico di essere in mezzo alla folla. Andava avanti e indietro, preso dal suo dialogo telefonico. Alla fine, arrivato alla mia altezza, si è aggiustato con serietà la cravatta, diventando un'altra persona."
Il maestro paragona l'Italia ad una bella ragazza e la Sicilia e la Sardegna a due fiori di loto. A Firenze, si fermava spesso a guardare il Ponte Vecchio, che secondo lui va ammirato da lontano.
"La mattina, alla luce splendente dei primi raggi di sole; la sera, alla luce sognante delle stelle. D'inverno, dopo la neve, aumenta l'animazione; in primavera trabocca di fiori; d'autunno, tante gonne mosse dal vento; d'estate, nudità come al bagno pubblico...."
Anche nel suo paese natale, Fenghuang, nell'ovest dello Hunan, si trova un ponte coperto simile al Ponte Vecchio, con ai lati due file di botteghe, che ha un nome bellissimo: Ponte dell'Arcobaleno. All'inizio degli anni cinquanta del secolo scorso, quando è arrivata la strada, le botteghe sul ponte sono state demolite, lasciando solo il ponte per il transito delle auto. Huang Yongyu ha descritto più volte queste botteghe come le ricordava da ragazzo. Guardando al Ponte Vecchio, a migliaia di chilometri di distanza, ricordava con nostalgia il Ponte dell'Arcobaleno della sua infanzia, al punto che tornato a Fenghuang, si è adoperato per la sua ricostruzione, riportandolo all'aspetto di un secolo fa.
Huang Yongyu ha vissuto una vita peregrina. In giovane età, nei difficili anni della guerra, se ne è andato da casa, lasciando le sue tracce nel Jiangxi, Fujian, Shanghai, Hong Kong e Taiwan. Alcuni lo definiscono un "mostro di ambizione", ma è indubbio che senza le dolorose peregrinazioni giovanili, non sarebbe diventato quello che è. Ovunque si trovi, vive sempre alla grande, con impegno e ottimismo, perennemente incantato dal paesaggio e dalla bellezza, e immerso nella sua creazione artistica. Nel suo libro, esclama: "Firenze, Firenze, temo che non potrò più lasciarti!". L'Italia, al pari di Cupido, ha colpito con la sua freccia il cuore del maestro, facendolo innnamorare perdutamente. Egli afferma che il maggiore risultato del suo soggiorno a Firenze è il senso di soddisfazione, che lo porta a continuare a lavorare con gioia.
"Di per sè la cultura e l'arte sono un lavoro gioioso, che dà piacere, permette di guadagnare e anche di essere padroni del proprio tempo, con pochi vincoli. Soprattutto in pittura, più si invecchia e più si è apprezzati. Rispetto a qualsiasi altra professione, è più libera, per cui devo dirmi soddisfatto."
Il maestro, che ha ormai novant' anni, va a letto tardi, si alza all'alba e lavora in media 8-9 ore al giorno. Al mattino scrive la sua autobiografia e al pomeriggio dipinge o incontra gli amici. Anche se il sogno di un soggiorno permanente in Italia non è più fattibile, ricorda ancora ogni minimo particolare della sua vita laggiù, fra cui il cane, il gatto, il cavallo e il giardino della sua casa toscana... Quanto alla sua autobiografia, è arrivato al tempo della guerra di resistenza all'aggressione giapponese, scrivendo già 800 mila caratteri, e continuerà ancora, toccando il suo passato recente, e naturalmente i suoi luminosi giorni in Italia...
"Il mondo è cresciuto, e io, mannaggia, sono invecchiato": questo è un distico autoironico composto da Huang Yongyu. Ma il maestro non teme la vecchiaia: in lui vediamo la fermezza e il coraggio del ragazzo partito verso il mondo, e la magnanima dolcezza dell'anziano tornato a casa. E l'Italia fa da nota splendente alla sua vita straordinaria.
Durante la presentazione del libro, il traduttore e già Console generale della Cina a Milano Chen Baoshun ci ha condiviso le sue esperienze collegate al maestro e al volume "Dal lungo Senna a Firenze".
"Conoscere il Maestro Huang è una mia fortuna nella vita. Alla partecipazione nel tradurre il suo libro costituisca una realizzazione del mio più bel sogno. Nel Gennaio del 2011, il Maestro Huang mi ha regalato una copia del libro di vecchia edizione e l'ho letto per due volte ad un fiato. Apparisce davanti a me un'altezza di una figura che è nel pieno del vigore e di vitalità, e un artista che lavora incessantemente."
Il signore Chen Baoshun ha spiegato che è stato profondamente commosso dagli spiriti di sincerità, franchezza e di altezza della sua personalità. Nel corso della traduzione ha imparato tanto dal Maestro Huang. Si è impegnato nella traduzione come dovere, di cui si sente molto onorato. Egli ci ha raccontato un'esperienza amara vissuta dal Maestro, da cui potremo percepire l'atteggiamento franco, tollerante e ottimista di Huang Yongyu.
"Durante la rivoluzione culturale, la ribelle dell'Accademia Centrale di Belle Arti aveva ammuchiato nel campo sportivo tutte le opere d'arte preziose ed originali delle diverse epoche, incluse le copie di capolavori stranieri portati dall'estero dai professori come Xu Beihong ed altri. Il Maestro descrive, "Sotto la vampa del sole nel sesto mese del calendario lunale, noi cosidetti "quattro vecchiumi vivi" eravamo stati raggruppati in ginocchio attorno ai "quattro vecchiumi morti". Poi fu acceso un falò alto quaranta o cinquanta metri affinchè le masse rivoluzionarie del cercchio esterno si sentissero eccitate dal calore del fuoco. Cantano canzoni rivoluzionaie e ci davano calci e pugni sulla schiena e sul sedere, incoraggiandoci a far vedere se eravamo capaci di far rinascere dalle ceneri la fenice."
Il signore Chen Baoshun lo ha così valutato in conclusione con tanta ammirazione.
"Oggi vedete il Maestro Huang Yongyu come una fenice d'oro, splendida, vigorosa e piena di vitalitá e sembra un giovane ambizioso nato nel post degli anni 90 dello scorso secolo, che avanza con i passi giganti e sicuri verso il suo secondo secolo della vita."