Le mie brevi raccomandazioni sul rapporto vitale tra Europa e Cina
  2015-03-12 23:47:55  cri

Celebriamo i dieci anni di partenariato strategico tra Italia e Cina. Io personalmente celebro 30 anni di rapporto con la Cina, a cominciare dai tempi dell'IRI, con investimenti reciproci che promettevano moltissimo e che si sono materializzati in grandi operazioni... Ricordo ancora con commozione l'inaugurazione dello stabilimento di tubi non saldati a Tianjin, i contratti dell'Ansaldo. Ricordo anche un episodio non noto: il presidente Deng Xiaoping mi fece chiedere se riuscivamo a portare Maradona a giocare nello stadio di Pechino, ma lui ci chiese un cachet di 300 milioni di lire e la trasferta... non si potè concretizzare. Erano anche questi i meravigliosi rapporti di apertura e di amicizia con la Cina! Non faccio ora un discorso sistemico, voglio solo darvi alcune mie impressioni personali che vengono più dal cuore dell'esperienza che non dalle analisi delle statistiche, perché le statistiche vanno bene. Infatti il commercio Europa-Cina cresce ed è il grande filone n.1 del commercio mondiale; anche il commercio dell'Italia va bene e questo è un gran bel punto di partenza. Ma si affacciano molti problemi politici per la dinamiche future.

Parto dall'ultimo incontro Apec di Pechino, che ho seguito in modo analitico e che ha visto la Cina protagonista, veloce, intelligente e a tutto campo. C'è stata la stretta di mano col Giappone, non si sono abbracciati... ma c'è stato un avvicinamento; si sono instaurati rapporti economici nuovi, forti, con la Corea del Sud, col Vietnam, con tutti gli altri Paesi vicini... Ovvero, la Cina ha psicologicamente e materialmente rotto quell'assedio che solo pochi mesi fa preoccupava la politica cinese. E questo è, secondo me, un passaggio estremamente rilevante, anche per il ponte gettato verso gli Usa in un campo molto specifico che ha un impatto enorme sull'uomo e sull'economia, cioè il campo ambientale, un business futuro di dimensioni enormi. Inoltre, si aprono notoriamente altri scenari: dal lato europeo, l'ipotesi di un accordo commerciale transatlantico con gli Usa, e poi le due ipotesi di grande accordo commerciale transpacifico: una vede come capofila gli Usa e l'altra ha come capofila la Cina. Sono due iniziative che in futuro dovranno convergere ma che ora tengono a spostare verso il Pacifico il centro pulsante dell'economia mondiale. Questa è l'interpretazione generale.

Evidentemente, quando celebriamo i nostri rapporti bilaterali dobbiamo anche pensare al domani. Noi europei, pur con tutta la crisi della politica continentale e i nostri problemi, siamo ancora il numero uno mondiale per prodotto lordo, produzione industriale ed esportazioni. Rappresentiamo quindi un'enorme realtà, che però vive politicamente in una posizione abbastanza complessa. Ho già accennato ai grandi blocchi che si stanno formando quando ancora un blocco Europa-Cina non c'è... e su questo bisogna riflettere. Per fortuna la realtà va avanti e non ci sono solo i flussi commerciali ma anche le correnti di investimento cinesi e questo pone una questione che tocca l'Europa ma anche l'Italia. Le imprese cinesi da due o tre anni stanno entrando in una fase assolutamente nuova, quella in cui sono obbligate a diventare globali, come hanno fatto le imprese coreane e prima ancora quelle americane. Sono obbligate perché il progresso tecnologico le costringe a questo passo e perché avere un mercato globale è indispensabile per nutrire il progresso tecnologico. Ora è chiaro che nonostante tutti i discorsi fatti all'Apec, gli investimenti cinesi in fondo vanno sia in Europa che negli Usa. Nella pratica gli europei - fors'anche per la loro non omogeneità politica e di interessi... - sono più aperti degli Usa, che recentemente hanno bloccato alcuni investimenti significativi in settori che anche noi ritenevamo strategici, ad esempio la macellazione. Allora, vedete, qui si spalanca un problema estremamente serio per l'Italia, rilevantissimo: la politica di apertura agli investimenti cinesi, affinché noi possiamo rappresentare il primo passo della multinazionalizzazione e della globalizzazione delle imprese cinesi. Questa è una scelta politica di estrema importanza, che secondo me deve essere affrontata con un approccio positivo a livello europeo e anche a livello italiano, poiché abbiamo delle caratteristiche che interessano fortemente la Cina del futuro: il mercato del lusso, gli alimentari, la meccanica strumentale... E' chiaro allora che dobbiamo lavorare in questa direzione, perché una relazione commerciale si mantiene viva per decenni se sussistono degli investimenti incrociati. Finora c'è stata la grande ondata degli investimenti in Cina e adesso parte, con caratteristiche del tutto diverse, un flusso in senso opposto. La strategia italiana deve esser quella di facilitarlo, erigendo ad esempio delle zone speciali per gli investimenti cinesi, creando l'expertise nei rapporti con la pubblica amministrazione, alimentando risorse umane che superino la barriera della lingua... Fare cioè tutto quello che si deve fare all'interno della nuova strategia che noi dobbiamo realizzare.

La realtà infatti si va fortemente diversificando. In futuro il commercio proseguirà, secondo me, in maniera ancora robusta ma diventerà più complicato e più interessante perché la Via della Seta avrà tre rotte fondamentali: quella marittima, la più corposa; quella aerea, che servirà le persone e i prodotti più raffinati e infine si aggiungerà - con investimenti che sono già in corso nei paesi intermedi della Via della Seta - una via ferroviaria che in dieci giorni dovrà unire la Cina e l'Europa e che per ora si dirige soprattutto al nord dell'Europa, in Germania. E su questo dobbiamo essere molto attenti, perché abbiamo bisogno di rafforzare, come Italia, tutti e tre i punti di arrivo della Via della Seta. Non vi sto ad elencare le occasioni che abbiamo perduto, perché ne abbiamo perdute tante, ma ho sempre ritenuto che noi siamo strategicamente il punto di arrivo "fatale" per la Cina. Il tempo perduto, però, può essere recuperato. La via ferroviaria è ancora in costruzione e abbiamo bisogno che nell'ultimo tratto occidentale ci sia una stazione anche in Italia, non solo ad Essen, dove oggi è previsto il primo approdo.

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