Vederla da vicino o non conoscerla mai
  2015-02-11 22:15:50  cri
La Cina e un'amicizia lunga una vita, da passare ai giovani.

di Cesare Romiti,

Presidente Fondazione Italia-Cina

E' da quando lavoravo in Fiat che la Cina mi affascina. Mi piace ancora ricordare quando negli anni Ottanta come Fiat invitammo in Piemonte un migliaio di cinesi di Nanchino, per formarli e poi costruire uno stabilimento in quella città. L'operazione fu per me esemplare ed è un investimento ancora oggi ricordato con piacere dal governo cinese. E non dimentico neppure quando gli operai cinesi ci salutavano in italiano: imparare anche solo qualche parola nella nostra lingua era una gradita dimostrazione di rispetto e amicizia.

Mi affascina la Cina e la sua storia, antica e simile alla nostra e allo stesso tempo lontana e misteriosa. Nel 2003, quando decisi di fare delle relazioni con Pechino un mio impegno stabile, la Cina mi pareva come un'idea ancora poco conosciuta ai più, "faceva paura", i nostri imprenditori ancora non sapevano bene come affrontarla. I miei amici, industriali e politici, erano scettici sulle potenzialità del Paese e della sua economia. E invece oggi siamo qui a parlare di Cina, ancora e sempre di più.

Chi non vede la Cina da vicino non la conoscerà mai davvero. Durante i miei viaggi ho incontrato tanti Capi di Stato cinesi, da Jiang Zemin a Zhu Rongji a Wen Jiabao fino a Xi Jinping, l'attuale Premier. Sono tutt'ora molto amico della figlia di Deng Xiaoping, Deng Ling, l'ultima dei suoi figli, artista e grande amante dell'Italia. Perciò mille volte ho meditato su che cosa sia la Cina per l'Italia e l'Italia per la Cina e su come si possa davvero far sì che i nostri Paesi, i nostri sistemi, le semplici persone - a partire dai giovani - si stringano la mano in modo che questo rapporto duri nel tempo. Da italiano so che nell'immaginario collettivo cinese la nostra tradizione culturale è vista con grande ammirazione e benevolenza. Il flusso ininterrotto di arte e storia che ha sorgente in Italia si è guadagnato il rispetto di una nazione dalla tradizione millenaria. Esiste una diffusa simpatia verso il nostro paese: ogni volta che mi capita di andare in Cina o di conoscere nuovi amici cinesi qui in Italia sperimento un senso di grande rispetto per il nostro Paese e la nostra cultura. Ci considerano "amici", ci riconoscono come una delle nazioni più simili a loro e più vicine alla loro cultura e alle loro abitudini. Il senso della famiglia, la convivialità, il cibo sono valori che ci accomunano e che viaggiando riscopro ogni volta con piacere. L'orgoglio dei cinesi per la loro cultura e le loro tradizioni è un richiamo al nostro senso di appartenenza, a quella fierezza di essere italiani che dobbiamo ritrovare in questo momento storico, insieme alla forza di reagire come Paese e come popolo. Questo lo possiamo imparare dai nostri amici cinesi.

Se guardiamo ai numeri del rapporto bilaterale tra Italia e Cina scopriamo uno sbilanciamento a favore di Pechino. Il centro studi della Fondazione ha di recente pubblicato nuovi dati sull'interscambio commerciale tra Italia e Cina. La situazione sta pian piano migliorando. L'export italiano in Cina è cresciuto nel 2013 rispetto al 2012 di oltre 1,3 miliardi di dollari (+8,13%), recuperando così quasi interamente il calo del 2012 rispetto al 2011. L'import italiano dalla Cina è nello stesso tempo lievemente cresciuto (+ 0,1 miliardi di dollari) dopo il calo di circa 8 miliardi del 2012. Il saldo della bilancia commerciale è sempre negativo per l'Italia, anche se il disavanzo è calato nuovamente, attestandosi a 8,17 miliardi di dollari, con un calo del 13,04% rispetto al 2012 e del 49,27% rispetto al 2011. L'interscambio tra i due Paesi passa da 41,91 a 43,33 miliardi di dollari, con una crescita del 3,38%, ancora però distante dalla quota di 51,3 miliardi di dollari del 2011.

Per colmare un divario come questo c'è bisogno di qualcosa più che non soltanto politiche commerciali.

Occorre ad esempio una politica dello scambio dei talenti e del know how, e qui menziono Uni-Italia, che ha l'obiettivo di attrarre studenti e ricercatori stranieri verso le università italiane, promuovendo l'offerta formativa italiana e favorendo la cooperazione universitaria fra l'Italia e gli altri Paesi. La Fondazione ha contribuito a lanciare il progetto nel 2008 e nel 2010 si è costituita l'Associazione Uni-Italia, insieme al Ministero degli Affari Esteri, al Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e al Ministero dell'Interno. E' sin troppo facile immaginare quale sia stato il primo tra tutti i paesi col quale iniziammo questa politica di lungimiranza: la Cina.

Perché tutto questo? Perché i giovani sono una delle risorse principali per il futuro dei Paesi. Sto lavorando in questa direzione da anni, per favorire i neo laureati italiani e cinesi nel loro percorso verso l'impiego. Ogni anno teniamo con la Fondazione l'Italy China career day, una "fiera del lavoro" che avvicina i giovani alle aziende italiane e cinesi, dato che sempre più imprese sono alla ricerca di personale qualificato cinese o italiano con profonda conoscenza del mercato cinese. I ragazzi che partecipano al career day sono giovani italiani o cinesi di seconda o terza generazione (che vivono vite del tutto uguali a quelle dei loro coetanei italiani, ma con un occhio rivolto al loro Paese di origine, col sogno di tornare a lavorare in Cina…). Tutti questi ragazzi ci raccontano di un'Italia diversa, di piccole e medie imprese che vogliono uscire dalla crisi assumendo giovani capaci che diventino il loro "ponte" con la Cina. Sarei contento se queste storie fossero conosciute da tutti, perchè possono infondere fiducia nella nostra economia e rispetto verso le nuove generazioni. Sulle quali dobbiamo investire.

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